“Il cielo sopra il letto”, la coppia Barbareschi-Lante della Rovere conquista il Teatro Concordia

di ALCEO LUCIDI –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Due amanti si rincontrano a distanza di sei anni. L’atmosfera non è delle migliori però: lui, Saverio – un imprenditore affermatosi nel campo della ristorazione, pragmatico e apparentemente deciso, cresciuto tra consigli di amministrazione e il mondo della finanza fino a farsi una posizione sociale (Luca Barbareschi) – lei, Elisabetta, un’insegnante, progressista, emancipata, anticonformista che contrasta con l’appiattimento alle regole del gioco sociale dell’amante (Lucrezia Lante della Rovere). In mezzo un figlio, Edoardo, perso in un suo mondo di giovanile ribellismo, nato dalla relazione con la moglie di Saverio, a suo modo amata e morta un anno prima, che risente delle frustrazioni, dei complessi di colpa irrisolti del padre.

L’amore sarebbe bastato a risanare le piaghe di questa pungente e finemente psicologica commedia di David Hare (per Barbareschi “uno dei più interessanti autori inglesi contemporanei”), Skylight (Il cielo sopra il letto), di cui tra l’altro l’attore cura, con maestria – una bravura che gli riconosciamo ormai da tempo – la traduzione dall’originale, il riduzione teatrale e la regia, se i due fedifraghi avessero però guardato con realismo al loro tradimento. Elisabetta, invece, si distacca dal rapporto infedele non appena la moglie di Saverio viene a sapere della loro storia, ponendo fine ad una idealizzazione della relazione sentimentale, che l’avrebbe probabilmente condotta ad una vita diversa da quella, difficile, che conduce (i due si incontrano per la prima e, forse, l’ultima volta, nel misero appartamento della donna alla Magliana a Roma, dove vive sola e al freddo, e che resta emblematicamente il centro di una vicenda bloccata, chiusa nelle distanze, e nelle contrapposizioni, ideologiche dei due amanti). Saverio è alla ricerca di una nuova vita, un’altra possibilità con Elisabetta (che ha sempre amato), per non cadere nel gorgo della depressione, da cui è già attanagliato, e sopravvivere al dolore della perdita e del distacco (fa costruire alla moglie un bellissimo lucernaio sopra al letto di morte, dove è consumata dal cancro, ma non capisce che la tenerezza, la compassione, la generosa concessione all’altro non si acquistano con i soldi).

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La commedia nera di Hare ci fa tornare in mente il romanzo politico di Alberto Bevilacqua, La Califfa (1964), – da cui fu tratto, peraltro, un bellissimo film girato dallo stesso scrittore nel 1970 – dove Irene Corsini, una popolana, andata in sposa ad un ex-partigiano, Guido, ucciso durante una manifestazione sindacale, si abbandona alle avances di un giovane, energico imprenditore, Annibale Doberdò, che ha costruito la sua fortuna sulla dota portata dalla moglie altolocata. Stesse le dinamiche, stesso il finale tragico ed amaro (con in più la morte di Doberdò e, a parti inverse rispetto alla commedia, l’abbandono di Irene dell’appartamento messogli a disposizione da Annibale). Uguale l’atto politico o, come direbbe Barbareschi, «la straordinaria introspezione di un rapporto uomo-donna (…) sullo scontro psicologico tra politically correctness e pensiero razionale logico», tra il cinismo, pur nell’onestà intellettuale, dell’uomo e al fondo la capacità di rottura degli schemi della donna che, alla fine, non giudica, non accusa, non vive di risentimenti. Elisabetta è il personaggio più vicino ad Hare che lascia svilupparsi i suoi personaggi senza contrarne la parabola o rivestirli di inutile moralismo.

Questa rappresentazione, prodotta dal Teatro Eliseo, è l’unica tappa delle Marche e si avvale della collaborazione, oltre che del meritevole Paolo Marconi (Edoardo), della scenografia di Tommaso Ferraresi, dei costumi Federica De Bona, delle luci di Pietro Sperduti e delle musiche di Marco Zurzolo. Stasera, giovedì 8 gennaio, si replica al Concordia: ci auguriamo un nuovo, favorevole riscontro di pubblico.

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