La morte di un uomo buono e l’infelice esclamazione di una “insegnante” di Novara

di GIUSEPPE FEDELI –

Ucciso così, barbaramente. Una sedicente insegnante di Novara ha commentato l’omicidio del vice brigadiere Mario Cerciello Rega in un post su Facebook, poi “sconfessato”, così: «uno in meno». Però, quando si dice la cultura. In odio alla radice di educazione – da e-ducere, che significa “trarre il meglio dall’allievo – costei, emula di una sua “collega” di Torino (la quale, in piena campagna elettorale, con una bottiglia di birra in mano e il giubbotto calato in testa, augurò la morte alla polizia) se ne è uscita con questa esclamazione: molto elegante, non c’è che dire, e soprattutto consona al ruolo rivestito. L’infelice espressione dà lo spunto a una riflessione sulla funzione dei docenti e della scuola in generale. Ora, come può un allievo fidarsi di un precettore che si permette di fare certe considerazioni? Da sempre la figura dell’insegnante  ha rappresentato un ufficio sacrale.

La skolè dall’antica Grecia era paideia, educazione, stimolo a quella kalokagathìa, a quel “mens sana in corpore sano” che doveva intridere la parabola di vita di ogni allievo, e così le sue scelte cruciali. Via via, con il mutamento burrascoso dei costumi, quello che doveva essere un nido di apprendimento e soprattutto di amore verso la vita si è, però, trasformato in un luogo politicizzato, in strumento per rivendicazioni le più varie, che tutto hanno a che fare meno che col compito prioritario della scuola: quello di spremere, per l’appunto, il succo da ciascun discente. Oggi più che mai, le prove Invalsi valgono molto più una valutazione serena e pacata del climax psicologico di un soggetto “difficile”, la media dei voti fa premio sullo sforzo eroico compiuto per mettersi alla pari con i programmi; dall’altro lato, imperversano genitori che si ergono a sindacalisti dei propri figli, in barba alla discrezionalità amministrativa; e con colpi di ricorsi al Tar, fanno strame di una valutazione, talvolta sì, equilibrata.

Insomma, un bailamme da cui è difficile uscire “indenni”. L’invito è  allora di tornare alle pagine di Socrate, trasmesse dal discepolo Platone, all’ars maieutica, a quel dubitare da cui solo può nascere una piccola verità. Perché oggi tutti sanno tutto di tutto, ma non sanno di non sapere: se non si parte da una posizione di umiltà e di collaborazione, di condivisione (parola oggi tanto di moda), la scuola continuerá a sfornare soggetti con un fardello di nozioni affastellate, che il giorno dopo si cancellano come la spuma delle onde sull’arenile. E gli insegnanti pensino a fare gli insegnanti, senza sbandierare con un orgoglio degno di miglior causa le loro posizioni politiche e le loro frustrazioni dipendenti da ire funeste e complessi irrisolti: se si vuol salvare un paese alla disfatta bisogna incominciare dalla scuola, uno dei tre capisaldi, diceva il grande Montanelli, su cui si regge una civiltà.

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