“Forse una gioia” di Enrica Loggi, la poesia come sguardo sull’anima

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Con il suo ultimo libro, “Forse una gioia” edito da peQuod, Enrica Loggi ci regala un viaggio fatto di dettagli, di luce, d’amore per gli aspetti più intrinseci, quell’intima essenza che è in ogni cosa, che sia un petalo o un’onda marina, una nuvola dall’insolita forma o un fiore che spunta dalla fessura di un asfalto trascurato. Il libro di Enrica, che ha un sottotitolo che già tutto dice, “Passeggiate liriche nel territorio piceno”, si compone di 24 poesie, 2 poemetti e 15 prose, dedicati a borghi, angoli e dettagli dei nostri luoghi. La raccolta è impreziosita dalla prefazione della giornalista Rosita Spinozzi, direttrice della testata “Il Graffio.online”. C’è una frase, nella prefazione, che è rivelatrice: “Un incanto che si compie nel momento in cui Enrica esce in punta di piedi dal suo microcosmo per andare serenamente incontro alla vita, con l’auspicio di trovare una gioia”. Ecco, la vita e la gioia. Due termini che dovrebbero collimare, ma che spesso risultano dissonanti, talvolta contrastanti, eppure vicini, in una tensione che tutti avvertiamo. Ci chiamano, quei termini, con il loro carico di significati. Enrica ha la sua via: “Nel colore del cielo abita il mondo”, così recita un verso, così esprime in poche parole un intero patrimonio culturale. È nell’andare incontro che si svelano le cose, le si vede e conosce, le si ama nel momento esatto in cui si compie l’alchimia più preziosa, quando ciò che si osserva porta indietro qualcosa. È un incontro segreto tra una rivelazione sottile, ma consistente, con quel microcosmo di cui parlava Rosita nella prefazione. Un incontro che apre finestre, scoprendo orizzonti più ampi anche nell’apparente semplice incanto del fiore, simbolo di vita, che nasce e cresce nell’insolito spazio che ha trovato accoglienza nella fessura di un muro.

Forse una gioia, lo ripetiamo come un refrain vitale. Rincorriamo la speranza di incontrarla nell’incedere, con la certezza che ci sono sguardi che portano lontano. Quegli sguardi particolari che Enrica Loggi ben conosce: si può, si deve, osservare con il cuore e l’anima, oltre che con la vista ed altri sensi. Si osserva anche con le mani, sfiorando l’impercettibile, si osserva con il proprio respiro, amalgamato ad un refolo d’aria che da lontano porta sentori e sensazioni distillate. È una visione che non si ferma, penetra nel profondo di ciò che si cela rivelando l’invisibile, con le sue sfumature di verità sottili, impalpabili eppure vere. Salgono ricordi, frammenti indivisibili del sé. C’è sempre qualcosa che non muore perché fatto di una materia particolare che non degrada e non cede, quella dei sentimenti più alti e delle emozioni ancestrali. Sa attendere Enrica, sa porsi silenziosa in riva al mare. Sa che le tranquille onde lunghe hanno in sé significati che lei saprà decifrare, tramutandole in suoni di parole, in versi che si muovono con discrezione tra le pagine, spinte dalle mani del lettore che verrà. È un lettore paziente, che sa accogliere, di rigo in rigo, di foglio in foglio, lo svelarsi di quei suoni, tra luci ed ombre in dissolvenza. In ogni pagina troviamo, e ritroviamo, spunti che ci riguardano, ci parlano personalmente. Mi soffermo, per citare un esempio,  sugli ultimi versi de “Il poemetto per le colline”:

Sotto i fiori d’acacia si rifugia
l’anima antica del mio paese
il suo occhio celeste che ritrova
i passi di chi visse e vive ancora.
In lontananza tacciono le strade
che ci portano in alto, a meditare
quel ch’è stata la nostra gioventù.

Meditiamo, e meritando è inevitabile vedere un insieme, non più solo frammenti. Vediamo un’unità, quell’albero della vita che ne racchiude molte di vite, le cui radici cercano abbracci celati che sappiamo immaginare e percepire. Nel silenzio dell’ombra del sottobosco cresceranno sempre nuove piante che cercheranno la luce e il contatto. Cresceranno nuove speranze. Nuove radici e nuovi incontri. Forse, a ben guardare, una nuova occasione di gioia.

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