Il K2, la montagna perfetta salita in inverno

Verso il campo base del K2

di AMERICO MARCONI –

L’ultimo Ottomila a non essere stato salito in inverno era il K2, la seconda montagna più alta della terra. Domenica 17 gennaio del 2021 un gruppo di dieci sherpa sono giunti fino agli 8.611 metri della sua vetta. Tra loro c’era Nirmal Purja, alpinista nepalese che nel 2019 ha scalato tutte le 14 montagne di 8000 metri nel tempo record di 189 giorni. Un’ascensione che, oltre al valore dell’eccezionale impresa alpinistica, ha il senso del riscatto per la fiera etnia degli sherpa. Spesso non abbastanza sottolineata nella storia dell’alpinismo himalayano. Idealmente è stata condotta fin sulla cima del gigante della catena del Karakorum dai dieci protagonisti. Infatti nessuno di loro è arrivato per primo sulla vetta che è stata raggiunta da tutto il gruppo unito, cantando l’inno nazionale nepalese.

Il K2 è chiamata la “montagna degli italiani” perché la prima ascensione assoluta è stata realizzata, nel 1954, da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli. Ma prima di loro nel 1909 l’esploratore e alpinista italiano Amedeo di Savoia, duca degli Abruzzi, raggiunse i 6000 metri. Ed individuò la via di salita più favorevole: lo sperone sud est, in seguito noto come Sperone degli Abruzzi. Salito con successo dal gruppo dei conquistatori italiani. Personalmente m’innamorai di questa grande montagna – anche se mai l’ho vista come nell’87 vidi l’Everest – perché ho ascoltato tante storie narrate dagli stessi protagonisti. Prima da Walter Bonatti che denunciava i salitori Compagnoni e Lacedelli di averlo abbandonato di notte con il portatore Madhi a oltre 8000 metri. Poi dall’amica Cristina, collega medico del Soccorso Alpino. Al rifugio Monzino, durante una settimana di formazione, a sera raccontò di aver partecipato alla spedizione al K2 del 1986 con Kurt Diemberger. Kurt, dopo aver conquistato la vetta con la compagna Julie Tullis, in discesa la vide morire nella piccola tenda tra la bufera. Passarono una ventina di anni e al Trento Film Festival ascoltai Goretta Traverso. Sempre in quel maledetto 1986 suo marito Renato Casarotto, uno dei più grandi ghiacciatori dell’epoca, scendendo, poco sotto il campo 1 del K2, precipitò per 40 metri in un crepaccio. Goretta, esperta alpinista di quota, stava al campo base e raggiunto il corpo senza vita di Renato volle che fosse lasciato lì, tra le sue montagne.

Montagna di gloria e di morte è stato definita il K2. Ed anche questa volta non si è smentita. Poche ore dopo il successo nepalese, il fortissimo alpinista spagnolo Sergi Mingote muore in discesa a causa di una caduta. Nel tentativo di salvarlo sono saliti alcuni alpinisti, tra cui la cordata composta dal rumeno Alex Gavan e dall’italiana Tamara Lunger. La Lunger è in Pakistan da dicembre, impegnata anche lei nel tentativo di salita invernale al K2. Monte che ha già conquistato, senza far uso di ossigeno, nel luglio del 2014; seconda donna italiana della storia dopo Nives Meroi. Se anche questa spedizione avesse successo, l’alpinista trentaquattrenne altoatesina, sarebbe la prima donna ad arrivare in vetta a un Ottomila in inverno.

Il K2 – Chogorì in lingua balti – è una montagna affascinante, un grande perfetto cristallo, ma molto difficile e insidiosissima. Perché continuare a sfidarla allora? Si chiederà qualcuno non esperto di scalate. Perché se entri nel sogno di vederla e toccarla, come per ogni altra montagna, non ne esci più. E non puoi far altro che prepararti e raggiungerla. L’atteggiamento non sarà mai di sfida ma di rispetto. Sarà lei a creare le condizioni che permetteranno di salirla e soprattutto di scenderla ancora in vita. Le montagne in Oriente sono divinità e dinanzi a loro si prega e si ringrazia, prima e dopo l’ascensione.

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Tamara Lunger con Nirmal Purja e il team (fonte Tamara Lunger facebook)