Dal mito della caverna alla teoria del proiettile

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Può sembrare strano, ma già Platone, intorno al 400 a.C., aveva analizzato la facilità delle persone a credere all’apparenza delle cose: “quel che sembra” come fosse “quel che è”. Quello che sembra, nella sua estetica di superficie, può diventare verità assoluta. Platone elaborò quel che viene definito il mito della caverna. Alcune persone, fin dalla tenera infanzia, vengono poste in una caverna senza possibilità di uscita, dove crescono senza vedere nulla di quello che esiste all’esterno. Tuttavia vedono molte cose proiettate su una parete, come in una sorta di schermo. Platone immagina che a ridosso del varco di uscita della caverna c’è un muro alto quanto un essere umano, ma meno alto dell’uscita stessa. Al di là del muro camminano non viste alcune persone. Ognuna di loro porta in spalla delle sagome che rappresentano cose ed oggetti della vita reale. Oltre gli uomini c’è un falò piuttosto grande che proietta le ombre in direzione della caverna. Ma mentre le ombre delle persone restano sul muretto, quelle delle sagome vanno oltre, stagliandosi sulla parete della grotta.

Gli uomini all’interno vedono pertanto solo le ombre in movimento  delle sagome ed odono gli echi delle voci, quelle di chi cammina all’esterno. Pertanto associano quel vociare alle ombre stesse. Per gli uomini della caverna, la realtà è data dalle ombre con le loro voci. Non solo: è l’unica realtà possibile. Ma che accade se uno di loro riesce a liberarsi e ad uscire? L’uomo liberato, uscendo e superando il muro, si rende conto che “nulla è come sembra”, che la sua verità era solo una limitata visione totalmente distorta. Si rende conto che non le ombre ma le sagome sono la realtà, per poi capire – andando oltre – che neanche le sagome sono la verità, ma solo una rappresentazione degli oggetti reali. Come a dire che la conoscenza (e con essa la consapevolezza) va per passaggi successivi e, se ci si ferma all’apparenza, vengono percepite solo verità illusorie.

L’uomo della caverna, che ha visto e conosciuto il mondo reale, è desideroso di “emancipare” i suoi vecchi compagni e torna all’interno della grotta. Non più abituato alla penombra, e nella difficoltà di muoversi a suo agio provenendo da un esterno soleggiato, sembra disadattato e quando prova a raccontare quello che ha visto non viene creduto. Platone va oltre. Immagina che l’uomo insiste, non sopporta che i suoi compagni di caverna restino con una visione mentale falsata, totalmente separata dalla realtà. Cerca di condurli fuori con il risultato che tutti, infastiditi dalla sua insistenza e invadenza (che probabilmente appaiono insensate) lo uccidono e mantengono il loro status, nella assoluta convinzione che il mondo sia la grotta e le sue ombre parlanti.

In tempi moderni, quelli nostri, inondati come siamo da informazione, da social e mass media, e con un livello culturale medio impensabile oltre 2.000 anni fa, verrebbe da dire che credere a realtà illusorie o parziali, o totalmente travisate, sia difficile e poco probabile. È una riflessione che potrebbe essere equiparata ad una “ragionevole convinzione”, o è a sua volta illusoria? E qui viene incontro una teoria assai più recente, la Bullet Theory, ovvero teoria del proiettile, altrimenti conosciuta come teoria ipodermica che ha nel politologo statunitense Harold Dwight Lasswell, esperto di comunicazione, il suo principale assertore (concetti poi ampliati nei decenni successivi dal sociologo McLuhan).

Secondo la teoria, i mass media sono potenti strumenti persuasivi che agiscono direttamente su una massa che tende ad essere passiva e inerte, e ad avere un comportamento consequenziale, ovvero con scarso senso critico e facilmente manipolabile, pronta a “bersi” quello che la comunicazione (propaganda)  vuol far credere. Ed erano gli anni ’40 del secolo scorso, quando i mass media non avevano la potenza odierna. Certo, qualcuno osserverà giustamente che erano tempi diversi, con poca scolarizzazione e con molto analfabetismo. Che non era facile farsi una opinione realmente indipendente non avendo gli strumenti  di conoscenza approfondita che oggi, oltre 80 anni dopo, noi abbiamo. Non c’è dubbio che i mezzi  di conoscenza attuali sono molteplici e a portata di mano. Eppure… Ecco, in quell’ ”eppure” si apre un ventaglio di riflessione e dubbi.

Come spiegare altrimenti fenomenologie del tempo moderno, quella degli “influencer” ad esempio, o come non stupirsi della forza suggestiva che ancora oggi rende conveniente fare grandi investimenti nella pubblicità? È una domanda che resta aperta, preferendo fermarci in quel “eppure”, consapevoli che nessuna parziale verità potrà mai essere una verità completa e che nessuna rappresentazione di un modello culturale potrà essere del tutto soddisfacente.

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