Il Consiglio di Stato ha detto no alle bocciature in prima media. Ma le carenze vanno recuperate

di GIUDITTA CASTELLI –

“Non si boccia in prima media”. É questa la decisione del Consiglio di Stato, che si è pronunciato su un caso sollevato per uno studente nel Reggiano. Secondo l’Organo giurisdizionale  per decidere l’andamento di uno studente serve una visione complessiva dell’assestamento, valutando almeno due anni di profitto. É di fatto  troppo breve il periodo di transizione dalla scuola primaria per giudicare dove si dirigerà lo sviluppo cognitivo dell’alunno. Pertanto il ragazzino di una scuola media di Scandiano, nel Reggiano, nonostante le tante insufficienze e una sentenza del Tar che aveva confermato  la bocciatura, potrà frequentare la seconda media. Le spese giudiziarie di 1.700 euro sono state addebitate all’Istituto Scolastico.

La sentenza del Consiglio di Stato non ha fatto che confermare quello che è stato l’andamento generale in quest’ultimo decennio. Basta ricordare che nel decreto sulla Valutazione della Buona Scuola di Renzi c’era il divieto di bocciare se non per gravi motivi,  tanto che si passò  dal 2,3 per cento di bocciature nella scuola media del 2017, all’1,9 per  cento ad agosto del 2018. In termini numerici oltre 4mila ragazzini non si sono misurati con l’insuccesso della bocciatura.

La normativa ha reso sempre più difficile ai Consigli di classe, che decretano promozioni e bocciature, costringere uno studente a ripetere l’anno scolastico anche quando questo non è pronto per seguire le lezioni dell’anno successivo. Il decreto legislativo sulla Valutazione recita:  “Le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva e all’esame conclusivo del primo ciclo”. Quindi, esclusi i casi di gravi infrazioni disciplinari, la promozione scatta anche nei casi di “parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline”.

Che la  scuola dovrebbe preoccuparsi soprattutto degli alunni che perde per strada è una grande verità. Non basta bocciare per lavarsi le coscienze, e i docenti lo sanno. Poiché la bocciatura è sempre una sconfitta, per chi la prende e per chi a volte è costretto a darla.  Affermava un pedagogista illuminato, don Milani: «I bimbi non hanno bisogno di essere respinti ma di maggiori risorse, di insegnanti di sostegno formati, di educatori di strada, di una scuola più lenta, capace di ascoltarne le esigenze, di captare le loro difficoltà e quelle delle loro famiglie. Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola. É un ospedale che cura i sani e respinge i malati». Pertanto dobbiamo fare una sola cosa: «Richiamarli, insistere, ricominciate tutto da capo all’infinito a costo di passare per pazzi».

Certo, il richiamo alla preparazione e alla buona coscienza, non dovrebbe essere utilizzato come pretesto dai genitori per attaccare i docenti ai quali hanno affidato la formazione dei loro figli, ma come un appello anche per essi ad impegnarsi a risolvere i problemi che spesso non dipendono né dalla didattica, né dalla capacità relazionale degli insegnanti.

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