Il disco della settimana, Bettye LaVette – Things have changed

di PAOLO DE BERNARDIN –

Bob Dylan nella tournée italiana di questi giorni rilegge il suo passato e lo condisce anche di qualche standard della canzone americana che davvero poco si addice al suo stile. É abituato a riprendere i vecchi temi che tanta gloria gli hanno dato ma ogni volta cerca uno stravolgimento in un contesto rock che spesso sembra una grande forzatura. Del vecchio menestrello che ha persino vinto un Nobel in una marea di critiche resta poco e tutto sembra giocare  favore di un vento contrario che non soffia più come una volta quando gli anni Sessanta lo celebrarono come il più grande folksinger d’America. Fortunatamente però c’è che rispetta ancora quel glorioso repertorio e lo fa suo, trasformandolo nell’abito sonoro, ma rispettando in pieno uno stile che ha lasciato il segno. E il caso della ormai anziana Bettye LaVette (nome d’arte di Betty Jo Haskins, classe 1946) cantante nera del Michigan ma cresciuta a Detroit che ha iniziato a cantare nel 1962 con Ben E. King, Clyde McPhatter, Barbara Lynne, Otis Redding e James Brown. Le è passata accanto la storia, la grande storia del Rhythm’n’blue ma a causa di una vita disordinata poco le è rimasto tra le mani se non violenze, droga, sfruttamento e persino prostituzione. Solo negli anni del nuovo millennio ha ricominciato ad ottenere quell’attenzione che le mancava e sono cresciuti progetti e riconoscimenti da parte di molti: premi, candidature,onorificenze,dischi e concerti di notevole livello. Nel 2010 interpretò il Songbook del Rock’n’Roll con una capacità che solo le grandi mature cantanti jazz riescono a sfoderare passando dai Pink Floyd ai Beatles, dai Rolling Stones agli Animals. Per i 50 anni di Amnesty ci cimentò col repertorio di Dylan con tanto di nomination al Grammy e che riprenderà totalmente in questo magnifico lavoro, “Things have changed”, accompagnata da nomi portentosi di musicisti come Steve Jordan, Pino Palladino, Keith Richards, Larry Campbell e Leon Pendarvis. Il risultato è davvero eccellente soprattutto per la scelta per niente scontata del repertorio dell’artista e restando sempre in una misura eccellente di canto e di interpretazione. Brani come “Emotionally yours”, “Political world”, “Going going gone”(dal repertorio religioso di Dylan), “Things have changed”, “It ain’t me babe”, “Don’t fall part on me tonight” (fantastico soul), “Mama you’ve been on my  mind” (uno dei vertici del lavoro), la modernisima “Ain’t talkin’”, “What was it you wanted” con le sue grandi colorature jazz, scavalcano di netto un classico, spesso scontato, come “The times they are a-changin’”. Un disco davvero sorprendente e pieno di passione che merita ascolti e ascolti che rigenerano ogni composizione. Formidabile LaVette!

STANDARD
(La storia delle canzoni)

So in love (Porter), 1948

“É strano, mia cara, ma è vero. Quando sono vicino a te, cara, le stelle riempiono il cielo. Sono così  innamorato di te, anche se non ci sei.  Ti avvolgo tra le mie braccia e tu, amore, sai perché. Sono così innamorato di te, innamorato della notte misteriosa. La prima notte, la prima volta che eri con me eri innamorato della mia gioia delirante Quando ho capito che poteva importarti di me. Ridi pure di me. Feriscimi. Ingannami. Abbandonami ma io sono tuo, fino alla morte…Così innamorato…innamorato…Così innamorato io sono di te…mio amore”

Col magnifico video di Percy Adlon, inserito nella celebre compilation dedicata alla giornata mondiale per la lotta contro l’Aids e il cui primo volume ,dedicato a Cole Porter (“Red Hot+Blue”), uscì nel 1990 vendendo oltre un milione di copie, la cantante kd lang ci ha regalato probabilmente l’interpretazione più intensa di “So in love”, uno dei classici di Cole Porter. Con la dolorosissima sequenza nella quale l’interprete, chiusa nella lavanderia di casa, abbraccia con particolare intensità la sottoveste, appesa ad asciugare, della compagna che sta morendo di Aids. E’ un momento estremamente toccante di una canzone nata e interpretata spesso con molta diversità da molti artisti. “Kiss me Kate” è una commedia musicale creata dalle menti della coppia Samuel e Bella Spewack sulla falsariga dell’opera shakespeariana “The Taming of the Shrew” (“La bisbetica domata”) le cui canzoni furono composte per testi e musica da una delle leggende musicali  americane come Cole Porter (Peru, Indiana, 1891-Santa Monica, California 1964). Figlio di una ricchissima famiglia, Cole crebbe sotto l’educazione musicale di sua madre Kate e a sei anni suonava già il violino e a otto il pianoforte componendo a soli dieci anni la sua prima operetta. Si laureò all’università di Yale (dove compose circa 300 canzoni) e studiò il francese prima di trasferirsi a Parigi in un lussuoso appartamento nel quale risiedette con sua moglie e sua complice (Porter era gay e sua moglie era al corrente di tutto) Linda Lee Thomas, ricchissima ereditiera la cui casa a Les Invalides aveva carta da parati di platino e poltrone rivestite di pelle di zebra. La coppia viaggiava spesso e si recava a Venezia dove affittava nientemeno che Ca’ Rezzonico con uno stile di vita principesco (una volta per i suoi ospiti portò l’intero corpo dei Balletti Russi!). A Parigi, Porter studiò orchestrazione e contrappunto con Vincent D’Indy ed ebbe tra gli altri maestri di composizione personaggi celebri come Nadia Boulanger e Igor Stravinsky. Tra le decine e decine di musicals che compose “Kiss me Kate” debuttò al New Century Theatre di Broadway il 30 dicembre 1948 con protagonisti Alfred Drake e Patricia Morison e con la bellezza di 1077 repliche che continuarono nel tempo fino al 2000 (e il prossimo anno se ne attende l’ennesima a Broadway) attraverso le varie versioni del musical che fece guadagnare al suo autore il Tony Award per le musiche, i costumi, gli autori, i compositori e, naturalmente come Musical dell’anno. Nel 1953 ebbe anche una versione cinematografica con protagonisti Howard Keel e Kathryn Grayson, per la regia di George  Sidney le coreografie di Hermes Pan con l’assistenza di Bob Fosse. E non possiamo non dire della superba biografia in versione cinematografica realizzata nel 2004 (“De-Lovely”) con la regia di Irwing Winkler e con protagonisti Kevin Kline nel ruolo di Porter e la splendida Ashley Judd nel ruolo di Linda. “So in love” è necessariamente entrata nel repertorio di tutti i grandi interpreti del musical (Jane Froman, Judy Garland, Jane Morgan, Patti Page, Julie Andrews, Vic Damone, Mabel Mercer, Andy Cole, Bing Crosby, Eddie Fisher, Gogi Grant, Keely Smith, The Four Lads, Dick Haymes, Patti Lupone) ma anche in quello di celebri voci della lirica come Cesare Siepi, Placido Domingo, Shirley Verrett, Kiri Te Kanawa, Renée Fleming). Le grandi voci della canzone non se le sono fatte sfuggire (Ella Fitzgerald, Frank Sinatra, Shirley Bassey, Dinah Washington, Peggy Lee, Dinah Shore, Perry Como, Helen Merrill, Dionne Warwick, Julie London, Lulu, Diane Schuur, Steve Lawrence, Dakota Staton, Lara Fabian, Roberta Gambarini, Ann Hampton Callaway, Shawna Farrell, Esther Ofarim, China Moses). Anche il jazz classico ha fatto sua questa immensa canzone (lo stesso Cole Porter in varie esecuzioni una delle quali a fianco di Astor Piazzolla) Tommy Dorsey con Denny Dennis, Fred Hersch, Michel Legrand, Gordon McRae, Chick Corea, Ray Noble con Al Bowlly, Illinois Jacquet con Benny Golson, Carmen Cavallaro, Oscar Peterson, Morton Gould, Stephan Grappelli a fianco di Yo Yo Ma, Marc Copland, Stan Kenton, Guy Lombardo, Philip Catherine). Molto affascinante infine è la versione di Caetano Veloso e Marco Azevedo dal Brasile e di Tito Puente.

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