Il disco della settimana, Melody Gardot – Live in Europe

di PAOLO DE BERNARDIN –

Una vita davvero poco fortunata quella di Melody Gardot, cantante americana del New Jersey e cresciuta a Philadelphia che, in seguito ad un grave incidente stradale occorsole a 18 anni, è rimasta semiparalizzata e quasi cieca. Lentamente, la sua voglia di vivere ha preso il sopravvento restituendole il grande dono della scrittura e del canto grande ad un lungo corso di musicoterapia che l’hanno portata a debuttare discograficamente con un magnifico lavoro come “The bedroom sessions” nel 2005. Con la fatica immane di dovere “scalare l’Everest ogni giorno”, come ebbe a dichiarare, è giunta oggi a celebrare una carriera davvero portentosa che l’ha portata a contatto del suo caro pubblico in tutto il mondo. “Live in Europe” (che segue di tre anni il bellissimo “Live in Paris”, è così un vero e proprio coronamento di passione attraverso performances registrate a Parigi, Londra, Barcellona, Amsterdam Lisbona, Utrecht e Bergen che rappresentano un vero e proprio regalo a se stessa e al pubblico. Il lavoro raccoglie oltre 100 minuti di canzoni con versioni davvero memorabili nelle quali si capisce velocemente la grande potenzialità dell’artista che ha già venduto 5 milioni di copie nella sua carriera. Versioni lunghissime a appassionate nelle quali eccelle il suo stile compositivo e la sua straordinaria vocalità che l’hanno portata ai vertici del canto jazz internazionale. Un talento davvero unico che sorprenderà quanti non l’abbiano ancora scoperta a partire dal brano introduttivo, “Our love is easy”, sofisticatissimo e con un accompagnamento estremamente minimal. Superlativa è anche la sua doppia versione del classico “Baby i’m a fool”, registrato a Vienna e a Londra. Tra le pieghe del suo canto si colgono amori per il soul e la black music che la portano a giocare con leggerissime note di chitarra, di violoncello, di sax o di contrabbasso (spesso usato da solo) in versioni lunghissime che vanno dai 7 ai 12 minuti. Il minimalismo delle esecuzioni rende “Live in Europe” quasi una sorta di unplugged che manda davvero in visibilio il pubblico estasiato. “Ho sognato tutta la vita – dice la Gardot – un disco dal vivo con questa intensità come se sentissi il grande bisogno di ringraziarlo per quanto ha fatto per me. La selezione è stata molto dura ed è avvenuta riascoltando 300 concerti degli ultimi anni e analizzando frase per frase analizzando e puntualizzando di critiche ogni passaggio come in una lotta continua su ogni esecuzione. Ho spesso pianto riascoltandole e non per l’esecuzione in sé ma per i ricordi cui ero legata ogni sera a quello specifico concerto. Non è stata una esibizione muscolare o una dimostrazione del mio ego personale ma semplicemente un rpporto diretto col mio passato, con la nostalgia e con il ricordo perché in fondo tutto quello che conta in un concerto è il cuore. Questo lavoro offre a tutti il mio cuore e l’amore del mio pubblico che mi ha sempre sostenuta. E’ molto più di un regalo per i ricordi che si trascina. E’ un grazie solenne a tutti” E momenti altissimi e intensi come “My one and only thrill”, l’appassionata “March for Mingus”, le calde e brasiliane “Lisboa” e “Over the rainbow” e la chiusura “Morning sun” sanno lasciare il segno su un disco davvero affascinante e splendido.

STANDARD
(La storia delle canzoni)

Someday my prince will come (Morey-Churchill) 1937

“Un giorno il mio principe verrà. Un giorno ci rincontreremo e lontano nel suo castello andremo, così da essere felici per sempre, lo so. In un giorno di primavera ritroveremo il nostro amore. Gli uccelli canteranno. Un giorno… in cui i miei sogni si avvereranno”

 É curioso come un brano dai cartoni animati di Walt Disney e nella fattispecie del film “Biancaneve e i sette nani” sia entrato nella storia degli standard americani e soprattutto al 19° posto dei 100 migliori brani del cinema americano. Era il 1937 infatti quando la voce di Adriana Caselotti, cantante di origini italiane, doppiava alcune canzoni della celebre fiaba diventata popolare in tutto il mondo grazie ai fratelli Grimm. La Disney si avvaleva allora di doppiatori in ogni paesi per quelli che erano i suoi blockbuster. In Italia infatti la doppiatrice ufficiale non era altro che la voce di un celebre soprano dell’epoca nata a Castelfiorentino nel 1916 che rispondeva al nome di Myriam Ferretti. Pur appartenendo al mondo della lirica la Ferretti non lasciò nessuna incisione discografica dei molti melodrammi che aveva interpretato. Fortemente tentata dalla canzone popolare partecipò alla rassegna delle canzoni di Venezia fianco di grandi nomi del tempo e fu quindi scelta dalla Disney per interpretare nella nostra lingua le canzoni di film popolari come “Dumbo” e “Biancaneve” con testi italiani di Nino Rastelli e Mario Panzeri. Nacquero così le versioni di “Voglio fischiettar”, “Impara  a fischiettar”, “Non ho che un canto”, “Con un canto nel cuor” ed anche “Il mio amore un dì verrà”, versione di “Someday my prince will come”, composta da Frank Churchill su testo di Larry Morey. Pianista e compositore, Frank Churchill (Rumford, Maine, 1901-Castaic, California, 1942). Giovanissimo si mise in luce proprio presso la Disney componendo “I tre piccoli porcellini” e “Chi ha paura del lupo cattivo”, “Peter Pan” e “Bambi” ed ebbe alcune nomination all’Oscar ma ebbe una vita poco felice che lo spinse a suicidarsi alla giovane età di 40 anni. La canzone restò per molti anni nell’ambito delle canzoni per bambini fino a quando nel 1957 Dave Brubeck, ammaliato da quella melodia, approfittando di un album omaggio alle melodie di Disney, ne tirò fuori una splendida versione che lasciò il segno nel jazz a fianco dell’eccellente sassofonista Paul Desmond.  La versione fu ripresa subito dopo da una rilettura grandiosa ad opera di Bill Evans prima di essere lanciato nel 1961 da Miles Davis nella sua ultima incisione a fianco di John Coltrane (qui in forma strepitosa). L’eccellente formazione era completata dalla presenza di Hank Mobley, Wynton Kelly, Paul Chambers, Philly Joe Jones. Un disco sulla cui copertina era rappresentata la stessa moglie di Davis, con Frances Taylor (fu l’inizio di una serie di copertine di Davis in cui erano raffigurate donne di colore). Altre celebri interpretazioni jazz furono quelle di Oscar Peterson con Milt Jackson (1971), Ben Sidran e Herbie Hancock (1978), Chet Baker (1979), Keith Jarrett (1986), Sun Ra e Chick Corea Akoustic Band (1989), Billy Higgins e Al Di Meola (1933), Frank Morgan (1995), Paul Bley (1997), Fred Hersch con Bill Frisell (1998), Enrico Pieranunzi (2001), Stanley Clarke (2009), Ron Carter (2002), Andrea Motis (2014), Kenny Barron (2015). La canzone entrò anche nel repertorio di grandi voci come Judy Garland (1964), Lena Horne (1967),Anita O’Day (1969), Julie Andrews (1970), Ernestine Anderson (1975), Linda Ronstadt (1985), Diana Ross (1986), Cassandra Wilson (1999), Anastacia e Barbra Streisand (2002).