Le fòchere e la notte della traslazione della Santa Casa

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Ci sono suggestioni, quelle vissute nell’infanzia, che mantengono nel tempo una notevole forza evocativa, con un tocco di nostalgia. Dopo giorni di preparazione, di accatastamento di legnami – e non solo, l’occasione era giusta per sbarazzarsi di un po’ di cose – arrivava la sera del 9 dicembre. Arrivava, e si cenava in fretta per dare modo, a noi bambini, di godere lo spettacolo prima di andare a dormire. Sarà che le sere decembrine sono umide, sarà che tira il vento quando non dovrebbe, ecco che l’accensione del falò non era cosa veloce e priva di complicanze. Ma quando la fiamma partiva, chi poteva fermarla? A sette anni, certe scene hanno il valore di vivere in una fiaba. Il calore e il colore del fuoco, gli sprazzi scoppiettanti della legna talvolta bagnata, o le fiammate di quella più secca e vecchia creavano insieme una scenografia irripetibile, ipnotica, paradisiaca. E qualcosa di Paradiso c’era davvero perché mio padre, pressoché tutti gli anni, fintanto che eravamo piccoli, mi diceva: «Se resti sveglio vedrai gli angeli che portano la casa della mamma di Gesù e noi, e tutti gli altri che hanno acceso il falò, li aiutiamo con la luce a non perdere la strada». Ci credevo e cercavo di restare sveglio il più possibile. Ma per quanto mi sforzassi non era mai l’ora giusta.

Da dove nasce la tradizione di quelle che da noi si chiamano fòchere? La leggenda racconta che la Santa Casa di Nazareth non poteva restare in Terrasanta perché non più garantita in sicurezza da quando i musulmani avevano sconfitto i crociati. Ed è così che inizia nel 1291, stando alla letteratura di Pietro di Giorgio Tolomei, il peregrinare della casa, sollevata in cielo dagli angeli, alla ricerca di un luogo dove potersi stabilire in permanenza. Una prima tappa provvisoria è in Croazia, nell’area corrispondente alla moderna Fiume, poi di nuovo in volo, si supera l’adriatico per atterrare dolcemente nelle Marche, dapprima ad Ancona, in zona Posatora, successivamente a Porto Recanti. Tuttavia, il luogo, per quanto bello e di proprietà della nobile signora Loreta, non è ancora sicuro perché troppo vicino al mare e quindi attaccabile. Infine il posto definitivo, sulle colline campagnole recanatesi ed ancora prive di abitanti dal nome Monte Prodo. È il 10 dicembre del 1294. La collina è ricca di allori e il loro nome latino, laurus, potrebbe aver influito, così come quello della signora Loreta, nel definire il nuovo nome del luogo, da Monte Prodo a Loreto. È l’inizio, in veste di tradizione leggendaria, di una storia straordinaria per il mondo cattolico e per quello che sarà il santuario mariano più importante in Italia e tra i più conosciuti in tutta Europa ed oltre: la Santa Casa di Loreto, custodita dalla Basilica che è stata costruita a protezione tra il  1469 e 1587.

Come in tutte le storie, la parte leggendaria e quasi mitologica “veste” una realtà diversa ma altrettanto affascinante. Cominciamo con il dire che la piccola chiesa all’interno della Basilica ha davvero a che fare con la Palestina. Le pietre, il tipo di composizione e la modalità della costruzione, sono tipiche della tradizione palestinese del tempo. Inoltre, a seguito di scavi archeologici, si è appurato che le pareti della Santa Casa sono perfettamente combacianti con le misure perimetrali della Grotta di Nazareth. Dunque? Escludendo ovviamente l’intervento di angeli un po’ confusi sui tragitti e sulle destinazioni, l’interpretazione più accreditata è quella che i templari, o comunque i crociati, dopo l’espulsione dalla Terrasanta, “smontano” la vecchia casa di Nazareth, luogo di devozione della Madonna, per portarla fino in Italia, in quel viaggio a tappe che abbiamo raccontato, da maggio 1291 al 10 dicembre 1294.

Un’altra interpretazione, comunque non troppo dissimile, fa risalire il salvataggio della casa mariana a cura della nobile famiglia chiamata Angeli. Sembra esista un documento che attesterebbe che un certo Niceforo Angeli se ne occupi personalmente per omaggiare la famiglia del re di Napoli Carlo II, come primo passaggio per poi arrivare nelle Marche. Comunque sia, quel mix di tradizione e mistero, leggenda e realtà, rendono unica la vicenda della traslazione. E le fòchere? Va da sé che nei secoli a venire, a partire dal ‘600, inizia progressivamente il rito folcloristico dei falò, nella notte tra il 9 e il 10 dicembre di ogni anno, estendendosi in tutta la regione, a ricordare e rievocare il “passaggio celeste” della Santa Casa di Maria, nel desiderio simbolico di illuminare il percorso. Oggi si fanno ancora i falò, anche se probabilmente hanno smarrito un po’ di quel senso religioso e rievocativo. Ma le fòchere sono sempre un grande e bello spettacolo, socializzante e anche intimistico, riscalda il cuore e placa gli animi. E lascia il tempo per qualche personale riflessione mentre le scintille danzano davanti agli occhi.

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