L’intervista – Antonella Boralevi e la saga familiare “Tutto il sole che c’è”

Nella foto, da sinistra: Eliana Narcisi, Antonella Boralevi, Mimmo Minuto

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ottavia Valiani ha quattordici anni ed è bella come il sole. Verdiana ne ha dieci, è bruttina ed è l’ombra. Tutti amano Ottavia perché emana luce, ecco perché Verdiana, di cui nessuno sembra accorgersi, cerca di rubargliela. Due sorelle divise da gelosie e invidie, un padre affascinante e di successo, il conte Guido Valiani, primario di chirurgia e podestà di San Miniato, una madre remissiva e sofferente, Letizia Ferradini di Prato. Sullo sfondo, la Toscana degli anni ’40, l’Italia di Mussolini che decide di entrare in guerra. Queste le premesse della saga familiare “Tutto il sole che c’è” (ed. La Nave di Teseo), ultima fatica letteraria di Antonella Boralevi presentata mercoledì 8 settembre alla Palazzina Azzurra di San Benedetto del Tronto nell’ambito della XV edizione degli “Incontri con l’autore” a cura di Mimmo Minuto e della libreria Libri ed Eventi.

Da dove nasce la voglia di scrivere un romanzo storico?
Fascismo, guerra, dopo guerra, ripresa economica, sono gli anni che hanno condizionato l’Italia di adesso, ecco perché ho scelto questo decennio come sfondo per narrare la storia della famiglia Ottaviani. Volevo, attraverso una saga familiare, raccontare la vita. La storia inizia il 10 giugno 1940 quando Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia che l’Italia entra in guerra e finisce nel 1951 quando iniziano a vedersi gli effetti del piano Marshall.

Chi è Ottavia Valiani?
Ottavia incarna la forza delle donne, quelle donne che si mettono in gioco e hanno il dono di non perdere mai la speranza, neanche nei momenti peggiori. Ho scelto di far conoscere la sua storia attraverso gli occhi di un’altra donna: sua sorella minore Verdiana, timida, bruttina, l’esatto opposto. Una sorella che l’ha sempre ammirata ma anche invidiata. Noi donne siamo abituate a valutare la nostra esistenza attraverso quella delle altre, vuoi per ragioni antropologiche, vuoi per motivazioni socio-pedagogiche.

Di lei scrivi che “Ottavia è il figlio maschio che suo padre voleva”. Chi è Guidalberto Valiani?
Il podestà di San Miniato, chirurgo di fama, uomo di successo del quale io stessa ho subito il fascino. Lui e Ottavia hanno un rapporto speciale. Il padre è la figura fondamentale nella crescita sentimentale di una donna, ogni figlia misurerà il rapporto con gli uomini attraverso il rapporto con suo padre. Facci caso, gli uomini che contano davvero nella vita di una donna sono quasi sempre uguali al padre oppure l’esatto opposto.

Un uomo di successo che però tradisce costantemente la moglie. Chi è Letizia?
Una donna che vive in punta di piedi. Ricorda che siamo negli anni ‘40. Le donne non avevano libero accesso agli studi, al lavoro, alla carriera, esisteva il Liceo femminile, imparavano a suonare, non occupavano posti di potere. Molto spesso erano consapevoli dei tradimenti del proprio marito, ma era costume accettarli in quanto parte del destino di una donna. Letizia non aveva proprio gli strumenti per essere diversa.

Eppure Ottavia prende in mano la sua vita fin da ragazzina.
Si impone nei rapporti umani. Nonostante la netta divisione in classi sociali, nonostante le leggi razziali e il ruolo di podestà di suo padre, le sue migliori amicizie sono la sguattera di casa, il figlio di un ciabattino, la figlia di un professore ebreo. Una giovane donna che non si tira indietro nemmeno di fronte ai ribelli che vogliono saccheggiarle casa, figurarsi di fronte agli ostacoli che la società frappone alle donne che vogliono studiare Medicina o scegliersi liberamente un marito.

Perché il romanzo storico piace così tanto al pubblico?
Non è sempre facile fare i conti con il passato, ma è necessario. Il romanzo storico è un posto dove il lettore può ritrovarsi, nelle emozioni, nei sentimenti, nei pensieri di questo o quell’altro personaggio e questo aiuta a crescere, ad arricchirsi, a migliorare. I libri aiutano sempre a migliorare sia il lettore, sia lo stesso autore. Ho impiegato tre anni a scriverlo e so che ha cambiato anche me.

E qual è la maniera migliore di rapportarsi col proprio passato?
Inutile stare a crogiolarsi nei “se avessi detto”, “se avessi fatto”. I rimorsi, i rimpianti, non servono a niente. Le cose sono andate come dovevano andare, è inutile starci a ripensare. Dobbiamo imparare ad accettare il passato come tale e guardare avanti. Io l’ho capito adesso.

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