La foglia di fico: metafore, letteratura biblica e utilizzi erboristici

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Una delle metafore più remote ed efficaci, quella della “foglia di fico”, figlia della Genesi, primo libro di quella letteratura antica che è la Bibbia. Ma non solo. La foglia di fico ha mille risvolti, così come il fico – albero – ha molteplici significati emblematici. Nel Giardino dell’Eden, dopo esservi nati, o più correttamente “creati” per mano divina, Adamo ed Eva, ignari di tutto ma curiosi su tutto, incappano nella trappola della “conoscenza”, simbolicamente rappresentata dall’azione di afferrare e mangiare la mela, altro simbolo universale. Tralasciando le sottili allegorie alla conoscenza ed esplorazione del corpo e del sesso, così come preferiamo bypassare gli ostici concetti che vogliano l’obbedienza, nuda e cruda, strumento salvifico, va ricordato che i nostri biblici progenitori, ormai smascherati e colpiti da improvvisa vergogna per l’esposizione degli organi sessuali, sono costretti a fuggire da quel giardino, dal Paradiso Terrestre.

Nella strana e imprevista situazione – immaginiamo la coppia presa da sprovveduta e spaventata reazione – Adamo ed Eva fanno ricorso a qualcosa che può risultare utile, la foglia di fico, o fors’anche più foglie intrecciate come parrebbe nel leggere le Sacre Scritture, per quello che queste possono fare come copertura: non ottimale, più simbolica che reale, poco più che coprirsi con le mani. Da qui la metafora, quella di coprire maldestramente qualcosa che vorremmo celare, un’azione, un sentimento, un oggetto, un’intenzione. Talmente maldestramente, che si fa brutta figura, peggiorando la situazione, rendendoci ridicoli. “Si nasconde dietro una foglia di fico”, quante volte abbiamo sentito quest’espressione? L’additato di turno insisterà nel negare l’evidenza, travisando la realtà.

Quella di nascondere qualcosa o se stessi, è forse – consapevolmente o meno – l’arte umana che più di altre viene esercita. Si nascondono rughe esteriori e interiori, difetti (ritenuti tali), angoli della propria storia, incompetenze e secondi fini, anche quando questi sono ingenui e innocui. É parte della condizione umana, derivante – simbolicamente – dal primordiale senso di colpa. E, paradosso genuino, lo esorcizziamo nei giochi dell’infanzia. Nel giocare a nascondino, ad esempio, vince chi non si lascia trovare. Potremmo dire, si perdoni la stravaganza e l’eccesso del ragionamento, che vince colui che sa dare dignità e riscatto alla “foglia di fico”, rendendola efficace, furba all’ennesima potenza, escatologica. Per fortuna, i bambini giocano e basta. Si divertono e si tengono lontano dai simboli e le complessità cervellotiche degli adulti, giustamente.

Altra frase affine è “Non vale un fico secco”, forse anch’essa di derivazione biblica. Laddove il fico sano, prosperoso e colmo di frutti, è simbolo di fertilità, pace, abbondanza e benessere, quello arido e secco simboleggia ben altro. Nel Nuovo Testamento, Gesù fa ricorso all’episodio del fico senza frutti per alludere anche a delle qualità umane: l’uomo si riconosce dai propri frutti, come l’albero. Concetto eternamente moderno ed efficace. Sono le azioni che rivelano chi siamo, non le intenzioni per quanto nobili possano essere. Le intenzioni restano nel sottobosco dei nostri pensieri e dei buoni propositi, invisibili e imperscrutabili dall’esterno. Inevitabilmente, le scelte sono le pagine del libro che gli altri leggeranno su di noi.

E oggi? La foglia di fico, spostando il punto di osservazione, è qualcosa di molto utile. Le tisane, ad esempio, aiutano ad abbassare i trigliceridi; vanno bene per i diabetici perché sono ricche di insulina naturale. Contengono anche fibre e potassio. Come preparare un infuso? In erboristeria si possono reperire confezioni di foglie frantumate e predisposte all’utilizzo, si lascia riposare un quantitativo equivalente ad un cucchiaino in una tazza d’acqua piena di acqua bollente per circa dieci minuti. Dopodiché si filtra e la tisana è pronta. Si consiglia di berla fintanto che è calda.

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