Auguri Patti Smith, i 74 anni della poetessa del rock

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Era lunedì, di un freddo 30 dicembre del 1946, nel pieno di una bufera di neve. A Chicago, nel North Side. Vedeva la luce per la prima volta Patricia Lee Smith, la futura cantautrice, poetessa convinta e impegnata, ribelle nel suo significato più nobile e onesto, rivoluzionaria nell’accezione più delicata e intimista, icona di tante cose, talvolta a sua insaputa, come accade con i grandi personaggi. É la Patti Smith che conosciamo, il suo nome d’arte, una dei 100 artisti più famosi di sempre, e nelle prime 50 posizioni, secondo la celebre rivista musicale americana “Rolling Stone”. Dici Patti Smith e “incontri” persone uniche come Bob Dylan e Bruce Springsteen, amici e colleghi di progetti comuni, di visioni poetiche e profetiche, di scorribande cultural politiche, di sperimentazioni memorabili. Dici Patti Smith e parli di poesia, quella vera, quella che scava nella profondità dell’essere umano, quella che vola alta nella distillazione spirituale del pensiero, quella che rifiuta la guerra, reagisce alle sopraffazioni e all’ingiustizia sociale. Ma è soprattutto la visione dell’uomo come “essere di passaggio”. É soprattutto la sottile linea esistenziale, intimista e tutt’altro che sdolcinata. Tutt’altro che sentimentale. Spiritualità, conoscenza e consapevolezza significano azione, scelta, ribellione alle logiche materialistiche e consumistiche. Tutto questo è Patti Smith.

Nel suo libro di memorie “Just Kids” del 2010, scrive: «Avevo trovato conforto in Arthur Rimbaud, in cui mi ero imbattuta a sedici anni, su una bancarella di libri di fronte alla stazione degli autobus di Philadelphia». Inizia lì, probabilmente, la sua ricerca poetica. Per altri dieci anni non sale sui palchi. Inizia tardi, a 28 anni, esibendosi attraverso i reading con accompagnamento musicale, spesso sperimentale. Il cantautorato viene dopo, è un’esperienza che matura lenta, dapprima timidamente, poi con decisione, con passaggio a un rock molto personale, senza mai abbandonare l’impronta poetica. Non mancano le sorprese. La sua vita non è una linea tracciata. Viene spesso in Italia e proprio in occasione dei suoi tour a Bologna e Firenze, nel 1979, annuncia il suo ritiro dalle scene. Decide di sposarsi, diventa madre per due volte ma in realtà non smette di comporre e torna a incidere dischi. Si occupa dell’occupazione del Tibet, del Vietnam. Le piace Madre Teresa, fa espliciti riferimenti a Papa Luciani. La spiritualità diventa sempre più espressione di fede, sorprendendo molti.

I passaggi italiani si fanno più frequenti e più articolati, soprattutto negli anni 2000.
Nel 2006 in piazza Castello a Torino: è un concerto gratuito in occasione delle Olimpiadi invernali. Nel 2008, duettando con Irene Grandi e Francesco Renga, si impegna nel progetto umanitario del microcredito in Africa. Nel 2009 coopera con il gruppo aretino Casa del Vento. Nel 2012 è ospite al Festival di Sanremo, omaggiando tra l’altro la Premiata Forneria Marconi, cantando “Impressioni di Settembre”. Nel 2013 è ospite del programma The Voice of Italy. Ed è in Italia che le vengono conferite due lauree ad honorem. Nel 2017 quella in “Lettere classiche e moderne” presso l’Università degli studi di Parma. Nel 2019 quella in “Lingue e letterature europee e americane” presso l’Università degli studi di Padova.

Abbiamo tracciato un rapido ritratto del dopo, della Smith conosciuta, famosa, mitica. Ma per capire il suo straordinario percorso è bene fare un viaggio a ritroso. Comprendiamo così l’influsso della sua famiglia e delle prime esperienze. Infanzia non facilissima, poche possibilità economiche dei genitori. Riceve un’educazione cattolica e va a lavorare molto presto con occupazioni saltuarie e occasionali. Qualcosa però preme in lei, le sale da dentro. Quelle letture di Rimbaud, e di molti altri intellettuali, bussano alla sua anima. É tempo di scelte, è tempo di risposte. Ha circa vent’anni ed è ora di andare. Prende un autobus, destinazione New York. É ora di essere artista per davvero. É ora di “essere”, di dare voce al cuore, alle pulsioni dell’irrequietezza e della vocazione espressiva. É ora per Patricia Lee di diventare Patti. Povera, senza un alloggio, dorme come può, vive come può.

Ma la forza interiore non molla. Nonostante tutto, è un buon periodo. La Grande Mela non le è ostile, anzi! Patti si sente accolta. C’è un fermento culturale in movimento. E c’è il grande incontro, quello che le occorre: Robert Mapplethorpe. Ancora sconosciuto, anche lui, ma determinante. Lei e il futuro maestro indiscusso della fotografia “entrano” in quel mondo vorticoso della cultura newyorchese, ne assaporano atmosfere e suggestioni, conoscono persone altrettanto irrequiete e destinate a segnare il tempo della musica, come Jimi Hendrix. Per lei non è ancora il tempo del palco. Si adatta a tutto, fa la commessa ma nel frattempo “si prepara”, compone le musiche che dovranno accompagnare la lettura delle sue poesie. E il tempo arriva. Artisti del livello di Bob Dylan l’apprezzano e l’incoraggiano. Può appendere la camicia da commessa.

É l’inizio di una carriera artistica realmente mitica, con alcune pause dovute al matrimonio e alcuni lutti importanti (l’amico Mapplethorpe, il marito, il fratello, un componente del gruppo). All’amico di sempre aveva fatto una promessa: pubblicare un libro che ripercorresse la loro storia. E così, “Just Kids” è il libro che racconta lo spirito di un tempo, tra gli anni ’60 e ’70. Quella New York che è anche cinica, ma ricca di fermenti culturali unici al mondo. Quei fermenti che i due ragazzi di allora avevano raccolto, fatto propri e rielaborati nelle loro visioni, riproponendoli poi come veri doni dell’anima.

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