Nuova legge elettorale, due riforme costituzionali per un Parlamento ridimensionato

di FELICE DI MARO –

Il 10 settembre la Commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato una proposta di legge elettorale ma al momento non si sa quando verrà discussa in Aula. Presso la stessa Commissione è stata presentata un’altra proposta di legge, non ordinaria ma costituzionale, sulla quale non è ancora iniziato l’iter, che cambia la “base elettorale” per l’elezione del Senato e riduce il numero dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica

Con Atto Camera C. 2329 che presenta 3 articoli si modifica il testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati e del Senato. L’articolo 1 modifica il decreto del Presidente della Repubblica del 30 marzo 1957, n. 361. L’articolo 2 interviene sul testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica: decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533. L’articolo 3 affida una delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali. È stato un punto, anche se non molto trattato dai media, del programma di Governo siglato nel settembre 2019. All’epoca e cioè prima dell’8 ottobre 2019, quando fu approvata alla Camera in seconda lettura la riforma costituzionale del taglio dei 345 parlamentari e quindi prima anche del Referendum che si è svolto il 20 e 21 settembre di quest’anno, e come è noto ha vinto il sì, si affermava che la riduzione del numero dei parlamentari doveva essere affiancata da una nuova legge elettorale, di tipologia  ordinaria, e non invece come ora si sta determinando, posticipata rispetto al Referendum. Si parlava di interventi correttivi per l’avvio contestuale di «un percorso per incrementare le opportune garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica, assicurando il pluralismo politico e territoriale».

In particolare, si dichiarava che era necessario avviare un percorso di riforma, quanto più possibile condiviso in sede parlamentare del sistema elettorale. Bene. Invece il 10 settembre e cioè 10 giorni prima dello svolgimento del referendum e in piena campagna elettorale solo il Pd e M5S hanno approvato questa proposta di legge, Leu con +Europa e Italia viva si è astenuta e Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno abbandonato la Commissione: questo è stato il percorso condiviso. Si ricorda che i deputati della Commissione sono 48, Leu ha un membro, Italia Viva 3, M5S 15 e il Pd 7, in totale 26 che avrebbe dovuto essere la maggioranza che non c’è stata. La proposta di legge andrà ugualmente in Aula ma al momento non c’è stato nessun annuncio sulla data anche se era stato indicato il 28 settembre ormai passato.

Si delinea un sistema elettorale interamente proporzionale, attualmente il 36% dei seggi è ripartito sul territorio nazionale e viene attribuito con il metodo maggioritario in collegi uninominali. La proposta di legge rimodula le soglie di sbarramento, dal 3% al 5%, per partecipare alla ripartizione proporzionale dei seggi. Quindi il territorio nazionale per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica verrà ancora suddiviso, almeno al momento, in 28 circoscrizioni ma in collegi plurinominali. Una seconda soglia, del 15%, sarebbe soltanto a livello regionale per la Camera, e per quelle liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, come ad esempio la Svp.

La lunghezza delle liste resta invariato e non è prevista la possibilità delle liste di unirsi in coalizione. La lista dei candidati in ogni collegio non potrà in ogni caso essere superiore al numero dei seggi assegnati, nei collegi plurinominali sarebbero fino a 8 e i candidati saranno proclamati eletti in base all’ordine di lista. Quindi le liste saranno ancora bloccate e l’elettore disporrà di un solo voto da esprimere su una sola lista. Chiaramente non si ritornerà alle preferenze. 4 sono le articolazioni principali di questa proposta di legge:

  • abolizione dei collegi uninominali;
  • impianto proporzionale;
  • soglia di sbarramento nazionale al 5%;
  • previsione del “diritto di tribuna”.

Il punto 4 è davvero importante. Si tratta di un meccanismo che dovrebbe garantire la rappresentanza anche alle forze politiche minori quando non superano lo sbarramento nazionale del 5%. Si prevede che, alla Camera, siano eletti i candidati di quelle formazioni che ottengano almeno tre quozienti in almeno due regioni, mentre al Senato siano eletti i candidati che ottengano almeno un quoziente nella circoscrizione regionale. Al riguardo però, attenzione, nella Commissione citata è stata presentata, ed è in discussione, una proposta di legge, Atto Camera 2238, che modifica gli articoli 57 e 83 della Costituzione e quindi, al momento, non è chiaro come si procederà. È una proposta di legge costituzionale che modifica, art.1, la base territoriale per l’elezione del senato oltre, art.2, a ridurre il numero (del 36,5%) dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.

L’art. 1 modifica il primo comma dell’articolo 57 della Costituzione che sarebbe sostituito dal seguente: «Il Senato della Repubblica è eletto su base circoscrizionale». Il Senato che fino ad oggi è stato eletto su base regionale, e attualmente è vigente la legge del 3 novembre 2017 n.165, sarà eletto sulla base circoscrizionale. Si tenga conto che la circoscrizione è una delle parti in cui è suddiviso il territorio nazionale e coincide per il senato con i territori delle 20 regioni delle quali 5 sono a statuto speciale. Le circoscrizioni per il senato sono 20 ma saranno ancora tali? Questa divisione era in funzione di un senato che aveva 315 senatori, con la riduzione dei parlamentari approvata dal Referendum del 20 e 21 settembre ne saranno 196 (4 verranno eletti all’estero). Non è da escludere che possano diminuire e se avverrà, una circoscrizione potrebbe comprendere anche sì, una sola regione, ma anche insiemi di parti di una regione o di più regioni limitrofe e poiché le liste dei candidati si presenteranno a livello della circoscrizione la loro formazione dovrà essere formata da candidati della regione diciamo principale ma anche delle altre parti di regioni presenti nella circoscrizione e questo creerà non pochi problemi e non solo politici ma anche di rappresentanza considerando anche i processi in corso di autonomia differenziata.

Si sapeva bene che la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe posto il problema della rappresentatività nel Parlamento in funzione del pluralismo degli interessi territoriali e di quelli politici e sociali che vengono espressi dal corpo elettorale. Ecco. Questi problemi sono stati completamente ignorati. Personalmente ho molti dubbi che questa proposta di legge che intende dare, come dichiarato, una risposta a questi problemi ed ha l’obiettivo di rafforzare la rappresentatività degli elettori sia davvero adeguata anche perché nella stessa Commissione con Atto Camera, C. 1511, si procederà alla modifica dell’articolo 58 della Costituzione che di fatto modifica l’elettorato del senato che verrà equiparato a quello della camera. Ecco il procedimento in corso.

Consideriamo il vigente articolo 58 della Costituzione: «I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno». Ecco il procedimento di riforma in corso ma comunque avanzato:

  1. a)al primo comma, le parole: «che hanno superato il venticinquesimo anno di età» sono sostituite dalle seguenti: «che hanno compiuto la maggiore età»;
  2. b)al secondo comma, le parole: «il quarantesimo anno» sono sostituite dalle seguenti: «che nel giorno delle elezioni hanno compiuto venticinque anni di età».

La proposta di legge è stata approvata, in prima deliberazione dalla Camera il 31 luglio 2019 e dal Senato il 9 settembre 2020 con identico testo. Sarà esaminato in seconda lettura dalla Commissione martedì 6 ottobre. Come è noto il Senato è eletto come la Camera dei deputati ma si differenzia per alcuni importanti elementi tra i quali proprio la diversa disciplina dell’elettorato attivo e cioè gli elettori. Come è noto l’età dell’elettore è di 25 anni mentre alla Camera è prevista la maggiore età e cioè 18 anni. L’elettorato passivo cioè i candidati, per il Senato debbono avere 40 anni mentre alla Camera 25 anni. Questa differenziazione è stata introdotta perché il Senato è stato comunque concepito come una «Camera di compensazione» e anche di attenuazione dei possibili «effetti distorsivi» derivanti proprio dagli esiti delle votazioni.

Si è pensato che una Camera eletta da una base elettorale più anziana e composta da rappresentati più anziani avrebbe costituito un ulteriore elemento di equilibrio in quello che è il nostro sistema istituzionale. Oggi si dichiara che l’evoluzione culturale e sociale italiana ha reso da tempo obsoleta questa norma. Non ritengo che sia obsoleta semplicemente perché un candidato di 25 anni non potrà mai avere la stessa maturità politica e sociale di un candidato di 40 anni: si dimostri il contrario. Quindi modificare la disciplina dell’elettorato attivo e passivo per il Senato peserà complessivamente sul ruolo del parlamento.

La ragione di questa riforma è un’altra. Si vuole affermare il monocameralismo con l’abolizione del Senato. Si determina quindi con questa riforma che Camera e Senato diventino uguali anche per composizione dei parlamentari considerando che i profili dei candidati deputati e dei candidati senatori a parità di età siano oggi simili sia sotto l’aspetto della maturità politica e sia sotto quello sociale e culturale, cose comunque errate. Si tratta di analisi sociologiche superficiali e prive di dati oggettivi. Si ricorda al riguardo che per tutta la campagna elettorale del Referendum sul taglio dei parlamentari del 20 e 21 settembre si è costantemente ripetuto da parte dei sostenitori del sì che Camera e Senato fanno le stesse cose. Con queste riforme costituzionali si delinea un Parlamento obiettivamente depotenziato che avrà una posizione progressivamente sempre di basso profilo sia rispetto alle dinamiche politiche e istituzionali nelle quali una molteplicità di attori internazionali come le agenzie di rating  e i mercati finanziari di fatto decidono i processi economici e quant’altro e sia rispetto all’Unione europea, Governo, Regioni che negli anni hanno già abbondantemente oscurato il parlamento e gli hanno sottratto quote sempre più rilevanti di potere a tutti i livelli.

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