Autoctophonia Festival 2020: Edipo e la dismisura

di SARA DI GIUSEPPE –

Autoctophonia Festival 2020, Teatro – Danza – Recital (8 luglio – 30 agosto), Memorial Leonardo Alecci, a cura di TEATRLABORATORIUMAIKOT27 con Vincenzo Di Bonaventura, Martinsicuro – Parco La Pineta. “EDIPO”, 18 Luglio 2020  h 21.30

LA DISMISURA
“Oh razza dei mortali/ Quanto simile sei/ Nella tua vita al nulla”
(Sofocle, Edipo re – circa 425 a.C.)

Torna ad essere attore-solista, Di Bonaventura, nella serata dedicata all’Edipo sofocleo. Attrezzi di scena, il palco in legno di larice e una sedia in plastica blu, modello bar-stazione, serigrafata Pepsi Cola: non per sedersi, quando mai una sedia serve a quello… funge invece da tamburo, sostituisce il fido djembè e la percussione accompagna gli stasimi del Coro (se un mister Pepsi vedesse, Vincenzo sarebbe milionario). Si fa in quattro e oltre, l’attore-solista, per la tragedia che avrà forma abbreviata a causa – in questa sera di luglio – del “freddo taciturno di un dicembre ascoso e passeggero” (Di B.): ed è Edipo e Tiresia, è Creonte ed è Giocasta, è lo sciamano e il pastore, ed è il Coro.

Demolisce, Di Bonaventura, il teatro declamatorio qual è per eccellenza quello classico, fino a introdurre nel Prologo, quale antefatto, la contorta grottesca maschera dello sciamano (il mago, l’indovino, il sacerdote…): in giullaresca mescolanza di onomatopee e dialetti simil-meridionali, questi prescrive ai popolani ciò che è necessario perché si allontani la peste che sta decimando la loro città, come anche la vicina Tebe: occorre il sacrificio, occorre il “capro espiatorio”. E il sacrificio si compie, la città è dunque libera.

Ma non lo è Tebe, devastata ancora dal morbo, e attende la salvezza dal suo re, da Edipo sapiente e saggio, che già la liberò in passato dalla sanguinaria Sfinge.
La mia anima piange per tutta la città, per me stesso, per voi parimenti …”. E la salvezza è possibile, è nel responso inequivocabile di Apollo Pizio: occorre cercare e punire chi uccise il vecchio re Laio, sul cui trono siede ora Edipo, e l’espiazione scioglierà il maleficio che causa la pestilenza. Il cieco indovino Tiresia, chiamato su proposta di Creonte, aiuterà anzi ad abbreviare i tempi, lui certo svelerà tempestivamente il colpevole.

Ma Tiresia è reticente: sa e non vuol dire – “Ahimè ahimè, terribile cosa è il sapere, se non giova a colui che sa!” – si esprime per enigmi, suscita la collera di Edipo, è accusato di complottare con Creonte. Dovrà infine cedere e parlare “… Sei tu l’empio che contamina questo paese” e, incalzato, ribadire: “Dico che l’assassino di Laio, che cerchi di scoprire, sei tu”. Ha in sè i meccanismi di una modernissima detective’s story questa “tragedia perfetta”, che vede Edipo al tempo stesso investigatore e colpevole. Ed è tragedia dell’ira, dove ciascuno rigetta da sé la colpa, rabbiosamente scagliandola sull’altro; solo l’elemento femminile, e in quanto tale il più dotato, la tragica Giocasta, saprà ricomporre gli animi e riportarli alla ragione.

Nel percorso a ritroso verso la verità, nella volontà generosa e leale di far luce risalendo ogni gradino dell’oscura sua origine, Edipo – il più infelice degli uomini – scoprirà che il vaticinio antico s’è compiuto inesorabile e s’è beffato dei miserevoli destini umani; e saprà di essere lui stesso l’empio, causa ignara e involontaria del maleficio tebano. Uccisore del proprio padre, figlio e marito della propria madre, padre e fratello dei suoi stessi figli, egli condanna sè stesso a vivere accecato ed esule [Luce, ch’io ti veda per l’ultima volta, perché io nacqui da chi non dovevo, mi congiunsi con chi non dovevo, chi non dovevo uccisi].

È dunque la dismisura – superbia, tracotanza, hybris – che oltraggiando gli dei e le leggi naturali genera la catastrofe; nella tragedia sofoclea solo l’espiazione – del parricidio e dell’incesto – guarirà la città dalla peste.
C’è, nel nostro oggi contaminato, un Edipo che espiando la colpa liberi noi, come Tebe, dal morbo che ci sovrasta? No certo. Né sciamani giungeranno danzando a prescrivere sacrifici: perchè la dismisura appartiene a tutti noi, è cifra del nostro presente globale dissonante e distopico, in fuga dalla ragione, e porta con sé il male più estremo.

Né ci salveranno i narcisismi patologici, gli europei litigi da cortile, nè alcuna tragica Giocasta verrà a chieder loro “Perchè mai, infelici, suscitate una contesa che non ha senso? Non vi vergognate, mentre la patria è nell’angoscia, di rimestare nei vostri guai privati?”  

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 La dismisura genera i tiranni.
La dismisura, se di troppe cose
non convenienti, inutili,
vanamente si sazia
e sale su precipiti dirupi
strapiomba tosto
nel gorgo della necessità,
né saldo piede l’aiuta…
Sofocle, Edipo re (Coro, terzo stasimo)

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