Autoctophonia Festival 2020: Leopardi è un brand

di SARA DI GIUSEPPE –

Autoctophonia Festival 2020, Teatro – Danza – Recital (8 luglio – 30 agosto), Memorial Leonardo Alecci,  A cura di TEATRLABORATORIUM AIKOT27 con Vincenzo Di Bonaventura, Loredana Maxia, Patrizia Sciarroni e il Gruppo teatrale Aoidos. Martinsicuro – Parco La Pineta. “I Fiori del Deserto” Giacomo Leopardi, Mercoledì 15/07 h21.30 –

“Perché in sostanza il genere umano crede sempre non il vero, ma quello che è, o pare che sia, più a proposito suo.” (G.Leopardi, Operette morali – Dialogo di Tristano e di un Amico, 1832)

Leopardi è un brand*

Nel Belpaese che tutto celebra specie se ci guadagna, il 2019 dell’era pre-Covid ha perfino festeggiato il bicentenario de “L’Infinito” leopardiano (!). S’è scoperto così che Leopardi è un brand”, batte in volata Catullo e Verga ed è “valore aggiunto” per l’economia recanatese e marchigiana. Ci avresti pensato, Giacomino? Soddisfazioni, eh? Sarà stupito perciò, l’immenso Giacomo main sponsor delle Marche, se stasera non fa guadagnare un euro a nessuno e sotto le stelle del Parco risuonano solo la gigantesca sua poesia, la grandezza del pensiero, la profondità della sua filosofia.

“Contemplatori dell’eterno” sono i poeti, dobbiamo leggerli “con furore”, disse tempo fa Vincenzo. E come tutto il cartellone di “Autoctophonia” – corpus variegato, tessuto  su una trama di autorevoli studi accademici, ricerche, riscritture sceniche, esperienze testimoniali di teatro – questa storia di un’anima per aghi di pino e voci sole – di Patrizia, di Loredana, di Vincenzo – frantuma tenaci stereotipi e scolastiche semplificazioni.  Non ne scalfisce l’incanto neppure l’eco raccapricciante, dalla festa vicina, del Reginella Campagnola strimpellata in do e sol.

Sono così stordito dal niente che mi circonda…”: così, del borgo selvaggio che oggi lo onora e va all’incasso, scriveva il giovane recanatese all’amico Giordani, dopo esser stato riacciuffato dal tentativo di fuga e riportato per le orecchie a casetta (si fa per dire) sua. Ne odiava il soffocante bigottismo, il clima reazionario, la ristrettezza culturale, tanto da fuggirne appena possibile: “Quanto a Recanati […] io ne partirò, ne scapperò, subito ch’io possa“ scrive ad Adelaide Maestri; e all’amata sorella Paolina, da Firenze: “… i Recanatesi veggano con gli occhi del corpo (che sono i soli che hanno) che il gobbo di Leopardi è contato per qualche cosa nel mondo, dove  Recanati non è conosciuto pur di nome”.

Oggi fuggirebbe ancora: da Recanati e da quella “orribile e detestata dimora” di certo, ma anche da questo presente che tutto mercifica. Eppure sparisce alla vista, stasera, il deserto di pensiero delle nostre satolle cittadine, qui nel giardino incantato dove per mille e una notte vorremmo ascoltare le voci che re-inventano poesia, scuotono  e – come fa il sisma – ridisegnano geografie e percorsi che credevamo di conoscere. «Leopardi canta alla luna, alla morte, alla condizione umana – dice Vincenzo – da quel palazzo patrizio che aveva intorno solo galline a razzolare – non ancora ciclo-turisti a fare selfie lì davanti – e come  conforto unico e tormentoso lo studio matto e disperatissimo nella sterminata biblioteca paterna».

«Sono un tronco che sente e pena», scriverà da Firenze agli amici toscani pochi anni prima di morire: ma il pensiero che anima quel “tronco” è fulgido come un diamante, l’esperienza personale del dolore è formidabile strumento conoscitivo, la sua filosofia è consapevolezza del proprio mondo interiore e slancio pietoso verso un’umanità utopisticamente consorziata contro la comune infelicità: “La mia filosofia […] di sua natura esclude la misantropia, di sua natura tende a sanare […] quell’odio che tanti e tanti portano cordialmente ai loro simili…”.

La morte lo attrae, la fine è invocata (“Invidio i morti, e solamente con loro mi cambierei”) ma è saldo lo sguardo che contempla, accanto all’infelicità propria, quella eterna e irreparabile dell’uomo, radicale la rivolta contro lo spiritualismo provvidenzialistico e consolatorio del “secol superbo e sciocco”, implacabile l’invettiva contro le mistificazioni antropocentriche di questo. “..Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? […] Se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me n’avvedrei ” è la risposta della Natura alle accuse dell’Islandese, la dichiarazione di assoluta indifferenza di questa alle sorti umane: il “perpetuo circuito di produzione e distruzione” con cui l’universo garantisce la propria conservazione prescinde dal destino di felicità o infelicità dell’uomo.

E tuttavia ineliminabile è la tensione dell’animo al piacere, la spinta al “naufragare” dell’immaginazione oltre i limiti del presente fisico; feroce è l’ansia di vita, e l’Amore, attività vitale dei sensi connaturata e incoercibile, “Dolcissimo, possente / Dominator di mia profonda mente, ne è  l’espressione più intensa: ma è anche inganno estremo e sua definitiva disillusione. “Nudo e potente” risuona il verso stasera: nel sussurro e nel grido, nella materia intima e dolente dei ricordi, nell’ironia sdegnata, nell’ansia d’infinito e nel fervore di vita, nel traboccare di speranze.

E sotto il cielo notturno e profondo, queste voci “necessarie e testimoniali” ri-creano una parola poetica che ci appare nata oggi: sconvolgente nella sua incompresa modernità, titanica nella convinzione d’infelicità che è quasi fiera e non cerca risarcimenti,  nel rifiuto sdegnoso delle “superbe fole”,  nella “forza eroica di chi ha raggiunto il completo possesso di sé”. E tanto vicina alla nostra disperata fragilità quanto lontana dallo strepito di un oggi che senza imbarazzo vaneggia di brand e nulla sa di “Infinito” se non che è un marchio e produce reddito.

* “un brand da 1,4 miliardi. A tanto ammonta – secondo uno studio della Camera di Commercio di Monza e della Brianza, che ha analizzato il peso dei grandi della letteratura – il valore aggiunto generato da Giacomo Leopardi, non solo per Recanati ma per tutta la regione”  (Il Sole24ore, 8 novembre 2019)

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