Giuseppe Ungaretti, nel cinquantesimo della sua scomparsa. Il ricordo di Enrica Loggi

di ENRICA LOGGI –

Chi non ricorda “M’illumino d’immenso”? Questa scheggia poetica è sempre nuova all’orecchio di chi vuol mettersi in ascolto di un mondo di assolutezza: un verso volutamente spezzato, che è un’invocazione e un singhiozzo, una preghiera o una resa. Il Poeta diceva di sé “Ungaretti, uomo di pena, ti basta un’illusione per farti coraggio”, era cioè l’anima di una vita in cui il dolore era diviso con quella che egli chiamava “allegria di naufragi“. La sua voce, che è tra le più alte del 900, ci desta e ci fa partecipi di una realtà spirituale, di un universo morale in cui il Poeta detta le sue modeste, ma vibranti leggi, affidate alla sua passione, al suo modo di rendere con le parole l’ansietà della lingua, una grammatica interiore inedita, alle soglie di un grande, corale sentimento.

Ricordo la poesia “San Martino del Carso”, scritta al tempo della guerra del 15-18 a cui Ungaretti aveva preso parte, e in essa il pianto, il grido del Poeta, stretto in versi dove alberga il suo cuore come “il paese più straziato”. La volontà di chiamare all’ascolto della voce poetica si esprime sommessamente in parole scabre, a volte addirittura scarse, muovendosi attraverso la sincope del silenzio. Le poesie “Universo “ e “Ombra” sono come degli haiku, brevi ed assertive, e tutto intorno una meditazione coltivata come una grande esperienza. Ungaretti, accanto a Montale, Quasimodo, Saba hanno accompagnato la mia giovinezza, poeti denominati “ermetici” per il linguaggio personalissimo, a volte oscuro, ma di un’oscurità che confina con la chiarezza di un’illuminazione, di un fraseggio dominante e unico.

Alla base di tutto la partecipazione del Poeta alla sofferenza e alla gioia del mondo, che traduce una stragrande passione per la vita e le sue forme, e una volontà di trasfigurazione che accarezza il creato, di cui la poesia è sorella e madre. Ancora un ricordo con cui concludo questi miei pensieri è la poesia “La madre”: un mondo d’amore e la resa in versi di vario spessore linguistico ed evocativo, dove il sentimento accarezza la vita in forma di preghiera, e di lirico slancio, nel tentativo agonico di redimere il tempo.

MARTINO DEL CARSO

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro.

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto.

Ma nel cuore
nessuna croce manca.

É il mio cuore
il paese più straziato.

UNIVERSO

Col mare
mi son fatto
una bara
di freschezza.

OMBRA

Uomo che speri senza pace
stanca ombra nella luce polverosa,
l’ultimo caldo se ne andrà a momenti
e vagherai indistinto…

LA MADRE

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra,
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all’Eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

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