“Camera restricta”, via la banalità. Una soluzione per scattare fotografie originali

di ELEONORA BRACAGLIA* –

Sul web, in particolare sui social network, oggi più che mai siamo immersi in un flusso continuo di immagini. Se nel Medioevo un uomo comune visualizzava circa 40 immagini artificiali nel corso dell’intera vita, oggi una persona mediamente entra in contatto con 600.000 immagini artificiali al giorno. Questo perché, grazie ai nuovi mezzi che abbiamo a disposizione, scattare una fotografia è facile come bere un bicchiere d’acqua, così come la possibilità di postare istantaneamente su qualsiasi piattaforma. Da non sottovalutare è il piacere dato dal ricevere consensi attraverso i cosiddetti “likes” che porta ad un pubblicare compulsivo.

L’olandese Erik Kessels nel 2011, partendo dalla domanda “quante immagini produciamo al giorno?”, ha stampato tutte le foto condivise sul sito Flickr durante l’arco di ventiquattro ore. La massa eterogenea di immagini ha acquisito così una minacciosa presenza fisica in grado di ricoprire interi edifici. All’interno di questo cumulo di immagini, gli scatti singoli perdevano senso, ma soprattutto valore. Ciò evidenzia come grazie alla semplicità del mezzo non si è più in grado di scegliere con senso critico cosa immortalare, ci si limita a puntare l’obiettivo su ciò che si ha davanti agli occhi.

L’artista Penelope Umbrico ha fatto della ridondanza delle immagini un’arte. Egli, infatti, ha raccolto per le sue opere immagini scattate dagli utenti in rete, come per esempio le classiche foto del tramonto e ha creato con queste dei collage molto particolari e divenuti presto popolari. Ormai oggi tutto sembra esistere per finire in una fotografia, ma quasi tutto è già stato fotografato spesso anche milioni di volte.

È questo il concetto che sta alla base del prototipo di fotocamera creata dal designer danese Philip Shmitt, che ha pensato bene che alla nostra società servisse non un mezzo per ottimizzare la produzione fotografica, ma un apparecchio che la regolamentasse. Il dispositivo da lui messo in commercio, infatti, attraverso la geolocalizzazione ed internet scansiona la superficie in cui si desidera scattare la fotografia e quando il numero di immagini già scattate in quel luogo è troppo alto ritrae l’otturatore e non consente di catturare l’oggetto. La fotocamera, inoltre, consiglia posti dove gli utenti non hanno ancora fatto molti scatti.

Questa fotocamera che rende più facile scattare foto originali, secondo alcune ricerche di mercato non ha avuto successo nelle vendite. Viene allora spontaneo chiedersi se agli utenti della rete piace essere banali e vedere sempre gli stessi contenuti o se il fotografare ciò che si vede, anche se poco rilevante e già catturato da altri appaghi in qualche modo.

Secondo la studiosa Susan Sontag: “Accumulare fotografie è uno dei principali meccanismi per provare qualcosa, per dare una sembianza di partecipazione”. In una società come la nostra, alla continua ricerca di individualismo, le persone non desiderano un oggetto che regolamenti la produzione di immagini. Al contrario si è alla frenetica ricerca di strumenti sempre più aggiornati per produrre un numero maggiore di contenuti e per personalizzarli al fine di distinguerli da quelli altrui.

La fotografia oggi più che mai è la forma di espressione più importante e immediata del nostro panorama culturale e costituisce uno storytelling globale a cui tutti possono attingere e partecipare. Rendere un oggetto ed un momento immortale è un potere a cui l’uomo contemporaneo non può e non riesce a rinunciare, ma la tendenza a fotografare ogni cosa porterà problemi a lungo termine come Cloud pieni di informazioni ed inquinamento digitale e per fronteggiarli una “camera restricta” potrebbe essere una soluzione?

*Eleonora Bracaglia (28/06/1999), studentessa presso la facoltà di comunicazione, media e pubblicità alla Iulm di Milano

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