“L’Inferno mai udito”. Dante, Massimo e Silvana

di PGC –

Autoctophonia Festival, Grottammare, Paese Alto.“Teatro Ospitale”- Casa delle Associazioni. “Il fabulatore incantevole” a cura di TeatrLaboratorium Aikot27 e Gruppo Aoidos. “L’Inferno mai udito – Memorie di un interprete” di e con Vincenzo Di Bonaventura –

GROTTAMMARE – Fra il pubblico di stasera – finalmente numeroso –  in qualcuna delle 72 poltroncine di velluto rosso* secondo me c’erano, in incognito, anche Massimo Consorti e Silvana Scaramucci: a prendere appunti per due nuovi pezzi sui “dibonaventureschi” primi 6 Canti dell’Inferno di Dante, a 20 anni giusti dai memorabili articoli che loro pubblicavano sulla stampa locale dopo altri Inferni di questi. Già allora la Divina Commedia-turbo del nostro Di Bonaventura-attore-solista faceva scalpore, tra noi che a mala pena ce la ricordavamo dai tempi di scuola recitata meccanicamente come il rosario, senza guizzi e senz’anima.

Intanto, quel piccolo affettuoso non-teatro Aikot27 arrampicato sulla salita, ricavato senza paura da un ramingo garage rubato alle auto: possenti, ripidi e poco ergonomici gradoni-with-gallery (altro che poltroncine); palcoscenico integrato ma superfunzionale (tanto di quel legno che neanche in Val di Fiemme), con dietro un labirinto(!); torri di casse giganti, amplificatori potenti e fedelissimi (tuttora insuperabili), anche quelli auto-costruiti dal nostro ingegnere del suono; mixaggio di musiche selezionatissime; perfetto isolamento acustico (sempre l’ingegnere…); pesanti tendaggi scuri alle pareti; fari a pinza da cinema/teatro a varie quote; lunghe scale a libro pronte all’uso; djembè grandi medi e piccoli…

Luogo di oggetti “leali”, da studio da lavoro e da ascolto, di una bellezza accidentale: nulla ad ingentilire il paesaggio. Mentre nell’aria aleggiavano Carmelo Bene, Dario Fo, Jacques Lecoq. Uno spazio franco di cultura militante fuori dal coro: scuola di teatro, rassegne, festival, cicli a tema (dai classici greci a Dante, dai grandi dell’800 ai poeti russi della Rivoluzione, da D’annunzio a Pirandello a Hikmet a Pennacchi… saranno 100 autori!). Spettacoli di riscrittura-scenica in rispetto dei testi, con pochi attori – spesso solo l’attore-solista – e per pochi intimi. Al massimo 27.

Massimo e Silvana, che erano del ramo, venivano per passione e amicizia. Ma, da giornalisti di una volta, lottando non poco nelle redazioni – oggi sarebbe battaglia persa – si guadagnavano il giusto spazio culturale sui loro giornali per raccontare cosa succedeva al TeatrLaboratorium Aikot27 di via Fileni, direz. Cimitero. Massimo, passo indolente da flâneur, quasi sempre prima fila a destra, pensoso e attento, mai un applauso. Silvana esuberante ed espansiva, dall’intervista automatica, capace di tirar fuori dalla borsetta microfono e registratorino – non c’erano gli aggeggi di oggi – “ti mando in onda in Tv stasera, o domani…”.

– Quella sera che, proprio in un Inferno, ai colpi scientifici (di scuola senegalese) dello djembè di Vincenzo, si aggiunsero i rabbiosi colpi di bastone di scopa sul soffitto, contributo dell’insofferente anziana signora del piano di sopra, e Vincenzo quasi felice li incorporò al volo nel IV Canto…
– Quella volta che irruppero perentori i Carabinieri… “Si fanno messe nere, qua dentro?”… Che te pozza arrajà…
–  Quella volta che Vincenzo voleva “trasportare” lo spettacolo direttamente nella frequentatissima pizzeria di fronte, che se ne  fottevano di Foscolo e Leopardi.  (…)

Erano i tempi degli amici Massimo e Silvana, giornalisti che – nonostante tutto – osavano scrivere di cultura altra e vera partecipando pur tra anime sgangherate e fiammeggianti, e col loro sicuro e appassionato mestiere tenevano viva e alimentavano la parte forse migliore di noi. E, soprattutto, loro c’erano: venivano, vedevano, ascoltavano, pensavano, scrivevano sapendolo fare, non aspettavano le veline precotte sussiegosamente seduti al computer…

Vincenzo, prima di iniziare stasera l’ultimo spettacolo di questo Autoctophonia Festival, ci mostra le intere pagine di giornale con quei loro articoli – le ha conservate con orgoglio – e ce li ricorda come fa lui, con parole a tempo di jazz intrise di commozione e di gioia, anche nostre.

Poi via, tutti verso l’ultimo Inferno mai udito.

*Questo Teatro Ospitale ha 72 posti (9 poltroncine in fila per 8), il Teatro Aikot27 ne aveva 27. Buffo, no?

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