“Piceno d’Autore”, Aime e Luzzatto concludono la rassegna a Monteprandone

di ALCEO LUCIDI –

MONTEPRANDONE – Ultima giornata per la rassegna “Piceno d’Autore” che anche quest’anno ha fatto parlare di sé per la qualità ed il peso delle presenze. Arrivata alla decima edizione, suddivisa nelle classiche due sezioni – una monografica, centrata quest’anno sul tema conduttore della comunicazione ed animata dalle figure di Paolo Crepet, Sergio Rizzo, Ferruccio De Bortoli e Francesco Giorgino, l’altra sull’universo editoriale con i due premi nazionali al miglior editor e alla migliore casa editrice – nella Sala Consiliare di Monteprandone, martedì 23 luglio, si sono alternate ieri le voci dell’antropologo Marco Aime (con il suo libro “L’isola del non arrivo. Voci da Lampedusa”) e il direttore editoriale della storica editrice Bollati e Boringhieri Michele Luzzatto.

In apertura l’avvocato Silvio Venieri, segretario e fondatore dell’associazione a capo dell’evento, “I luoghi della scrittura”, ha intrattenuto una conversazione con Marco Aime – docente di antropologia culturale presso l’università di Genova e con numerose ricerche alle spalle in Africa Occidentali (Benin, Mali) e sulle Alpi, in particolare, giornalista e fotografo freelance per la Stampa, Airone, Gulliver, Atlante – sulle migrazioni e sull’esperienza vissuta dallo studioso nell’isola del Mediterraneo al centro di tante storie drammatiche, di flussi continui di popoli e, anche, di polemiche.

Il testo vuole essere non un trattato scientifico, né un saggio ben confezionato, ma il libero dipanarsi di una serie di testimonianze raccolte liberamente da Marco Aime nel corso di alcuni suoi “sopralluoghi” – tanto converrebbe chiamarle incontri – a Lampedusa, dove si è intrattenuto con la gente del luogo (pescatori soprattutto). La riflessione che muove il testo, inoltre, partiva dal una semplice constatazione: come mai al Nord i cosiddetti “sbarchi” (termine improprio per Aime) venivano vissuti come delle minacce permanenti, insomma come un vero problema, mentre a Lampedusa – isola a 120 miglia dalla Tunisia – tra le persone che li vivevano in prima persona nessuno si è mai lamentato? La chiave di lettura sta nel senso di umanità, nella riposta dignità riscontrata dall’antropologo tra gli isolani. «I lampedusani – ha commentato – vedono nei profughi delle persone che hanno subito maltrattamenti, patito la fame, subito guerre e si sentono del tutto spontaneamente solidali con chi soffre».

Un’altra dimensione fondamentale – aggiunge Aime – nel definirsi di questo senso di fratellanza – è l’insularità. Chi vive sul mare e nel mare «è già in una condizione di anormalità, di precarietà e di pericolo. Accoglie più favorevolmente la diversità perché egli stesso è, in fondo, un diverso, un atipico». Anche la Sicilia gioca il suo ruolo, come crocevia di influssi, civiltà, culture, appartenenze, vero e proprio porto franco. «I lampedusani sono i diretti discendenti di un nucleo storico di siciliani (122 in tutto), impiantati sull’isola dai Borboni nel XIX secolo per rioccupare un territorio che andava spopolandosi e che per la sua centralità nel Mediterraneo era entrato da tempo nelle mire anche dei britannici».

Il rischio più grande che si corre oggi è, invece, di ridurre la complessità delle migrazioni, contraddistinte da gruppi etnici e sociali dalle provenienze più disparate, con aspettative, retroterra, identità plurime, ad un insieme indistinto “di numeri, di statistiche, di individui spersonalizzati ed oggettivati nel pregiudizio dettato da narrazioni massmediatiche strumentalizzate”. Insomma, concludendo, Aime sottolinea una preoccupante “mancanza di empatia”. «Non riusciamo più a sentirci parte di una comunità umana.- afferma – I nostri morti finiscono per contare di più di quelli degli altri. Ci stiamo progressivamente rinchiudendo in noi stessi. Quello che serve non sono eroi – e i lampedusani sono lì a ricordarcelo – ma individui con la capacitò di riconoscere nell’altro un loro pari».

Nella seconda parte è stato premiato, con una scultura realizzata dall’artista Paolo Annibali, in qualità di direttore editoriale della Bollati e Boringhieri, Michele Luzzatto. Luzzatto si aggiunge ad un lungo palmares di prestigiosi nomi dell’editoria che si sono succeduti nel tempo. Biologo di formazione, torinese di adozione, Luzzatto è entrato prima in Einaudi e poi approdato in Bollati e Boringhieri, rilevando da circa un anno la direzione pluridecennale di Renzo Guidieri, da poco scomparso.

La casa editrice nasce nel 1957 grazie all’iniziativa di Paolo Boringhieri (anch’egli proveniente da Einaudi dove si era occupato prevalentemente della collana scientifica ed aveva affiancato intellettuali del calibro di Vittorini, Pavese, Calvino, Ginsburg, Licata). Dalla vendita di un vecchio birrificio, Boringhieri ereditò cinque collane einaudiane, di cui tre molto note: la collana cosiddetta “azzurra” (dal colore delle copertine) sulle scienze, la “collana marrone”, di cultura economica e la più famosa “collana viola” (fortemente voluta da Cesare Pavese) di studi religiosi, etnologici e psicologici (De Martino, Mircea Eliade, Propp, Freud, Jung).

«Il tema portante degli albori, sino all’ingresso in società di Bollati negli anni Ottanta, è quello di un umanesimo scientifico – racconta Luzzatto – ovvero di un vero confronto tra la materia scientifica con quella umanistica. Si era in pieno idealismo crociano, dove la spiritualità, il sapere filosofico-letterario finiva per contare di più di quello delle scienze esatte e Boringheri riuscì, in buona sostanza, a trasmettere la cultura scientifica non sotto una vesta tecnica ma più prettamente filosofica, cogliendola nella sua struttura concettuale».

Da un catalogo di 156 titoli si arrivò ben presto ad oltre 500 opere. Ancora oggi la editrice può fregiarsi dell’opera omnia di Freud (a cura di Cesare Musatti e Renata Colorni) e di Jung (nella curatela di Luigi Aurigemma), e numerosa si staglia la pattuglia degli scienziati pubblicati: Arieti, Bara, Cancrini, Fornari, Hartmann, Kernberg, Klein, Kohut, Lai, Sandler, Anna Freud etc… (psicologia, psichiatria e psicoterapia), Bohr, Goedell, Lolli, Prodi, Giusti (in ambito logico-matematico e della fisica), Agamben, Aime, Augé, Latouche, Perec, Pintor e tanti altri (per le scienze sociali).

Bollati finì per riorganizzare il catalogo e, allo stato attuale, passata al gruppo Mauri Spagnol, la Bollati Boringhieri gode di ottima salute e di grande prestigio, coniugando, come un tempo, la vocazione alle pubblicazioni scientifiche con l’attenzione alle discipline umanistiche. «Sono contento – termina Luzzatto – che in un premio si dia spazio anche agli editori tanto da riconoscere il lavoro nascosto, ma non meno duro, che portano avanti a sostegno degli autori. È un grande merito di questa rassegna a cui va il mio incondizionato plauso».

Copyright©2019 Il Graffio, riproduzione riservata