Lavoratori “frontalieri” Italia-Svizzera, a sorpresa non più solo italiani

di RAFFAELLA CIUFO –

La florida Svizzera – sulla base di rilevazioni e analisi dell’Ufficio federale di Statistica (UST) – fa registrare per il 2017 una condizione di povertà reddituale nell’8.2% sulla totalità della popolazione e nel 4.3% della popolazione occupata. A giudizio della Caritas una condizione in “evoluzione allarmante”, giacché tale tendenza è in aumento costante a partire dal 2014. Si considera come “situazione di povertà reddituale” la condizione di coloro che, disoccupati o comunque percettori di reddito, non sono in grado di affrontare con sufficiente autonomia le spese relative a beni e servizi, necessari alla propria sussistenza e ad una vita socialmente integrata. Oltre ai disoccupati che non possono contare nemmeno sull’appoggio di una rete famigliare, i cittadini svizzeri più colpiti sono i single, seppure occupati: giovani genitori, tornati single, con figli minori a carico. Ma anche i genitori anziani che devono riaccogliere in casa e sostenere i cosiddetti figli boomerang, ed eventualmente anche i nipoti; i pensionati, nella fascia percettiva che, fino a qualche anno fa, avrebbe consentito quanto meno sufficientemente di coprire tutte le necessità di base per una vita serena e decorosa.

Fra le variabili prese in considerazione per l’elaborazione dei dati da parte dell’UST c’è la determinazione del livello di deprivazione materiale, basata su nove tipologie di spese differenti che comprendono – fra gli altri elementi di valutazione – l’affitto, il riscaldamento, l’abbonamento telefonico. Chi non riesce a far fronte a tre di queste nove tipologie di spesa, viene considerato in condizione di deprivazione materiale. Chi non riesce a sostenerne quattro su nove, viene già considerato in condizione di grave deprivazione materiale.

Certamente al raffronto europeo – in relazione ai tassi di grave deprivazione materiale (2017) – l’allarme interno alla Svizzera è ben poca cosa con il suo 0.8% rispetto ad un 4% del Portogallo o al 7,2% per l’Italia oppure al peggior tasso del 15.2% per la Grecia. Però – e questo amplifica l’attenzione sul tema – oltre a questa fascia di popolazione svizzera con marcato disagio economico si aggiunge anche il numero in costante aumento di cittadini svizzeri, che decidono di trasferirsi a vivere in Italia per far quadrare i conti o per concedersi una vita priva di ansie e rinunce – poter pagare un affitto e le utenze abitative senza difficoltà; poter sottoscrivere agevolmente mutui per l’acquisto di una casa;  poter sostenere spese mediche; non doversi costantemente privare delle piccole spese “di contorno” per il proprio benessere personale e l’integrazione sociale. Si tratta di pensionati e di cittadini svizzeri ancora in attività che, come tanti lavoratori italiani “frontalieri”, il mattino attraversano il confine per andare a lavorare in Svizzera. É con evidenza un fenomeno espansivo, come mostra l’importante crescita numerica di residenti svizzeri in Lombardia.

Del resto, un espediente di sopravvivenza o sussistenza che noi italiani conosciamo benissimo da anni: fare “il pendolare” spostandosi in paesini limitrofi alla grande città oppure proprio trasferirsi nella meno costosa provincia per ricominciare tutto da capo. Solo quello che sorprende è che della Svizzera, così precisa su tutto al pari dei suoi orologi, non l’avremmo mai immaginato e tale evidenza ci fa pensare che nel grande meccanismo di sistema economico globale, anche là dove le condizioni di base sono le più favorevoli, prima o poi qualcosa s’inceppa.

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