L’Aquila e la “lezione mancata” di Massimo Cialente

di ALCEO LUCIDI –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Ospite dell’Associazione Marinai d’Italia di San Benedetto del Tronto, sabato 18 maggio, l’ex sindaco dell’Aquila Massimo Cialente ha presentato il libro “L’Aquila 2009. Una lezione mancata” sulla drammatica vicenda vissuta dalla comunità abruzzese nell’aprile 2009. Il lavoro, curato nell’edizione da Antonella Calcagni, non può essere considerato né un resoconto documentato, né una raccolta di memorie, né tanto meno una trattazione sociologica delle tante mancanze che hanno contraddistinto il drammatico evento sismico, rimbalzato sulle pagine di tutto il mondo e che, proprio per questo, non appartiene a nessuna “tipologia narrativa”, a detta della stessa Calcagni.

Alla presenza del consigliere Fabio Urbinati, il quale ha spiegato di come la vicenda aquilana, della terribile scossa del 6 aprile 2009, tocchi i cuori e le sensibilità di ogni italiano e funga da monito perché non abbiano più a ripetersi simili sciagure legate all’incuria dell’uomo e alla mancanza di una seria valutazione dei rischi sismici, dell’avvocato Venieri in veste di moderatore e di segretario dell’associazione “I luoghi della scrittura”, a sui si deve l’organizzazione dell’evento, Massimo Cialente, classe 1952, ha ripercorso le fasi tanto dell’emergenza quanto della difficile ricostruzione.

La ricomposizione di ricordi frammentari e sparsi di una sciagura dalle simili proporzioni, attraverso una lunga intervista divenuta col tempo un racconto, si è resa lentamente necessaria – nonostante le inziali resistenze del sindaco – per fare chiarezza sulle negligenze e gli annosi ritardi culturali dell’Italia in tema di prevenzione (la lezione mancata dell’evocativo titolo) e per rendere anche conto degli sforzi compiuti, delle lungimiranti, coraggiose scelte intraprese per guidare la rinascita della città.

Cialente parla, con estrema chiarezza, della desolazione offerta dai momenti successivi alla scossa della Domenica delle Palme, dell’acre odore di gas che prendeva alla gola, della nuvola di fumo giallo alzatasi dal centro, come lo scoppio di una bomba, quella maledetta notte, dopo la scossa delle 3:32, la più forte, che si aggiungeva ad un lungo sciame iniziato il 7 gennaio dello stesso anno, delle numerose chiamate di emergenza ricevute, del suo primo pensiero (i figli, la famiglia, la pericolante scuola “Edmondo De Amicis” – edificio quattrocentesco – in cui era stato studente e che aveva deciso di chiudere giorni prima, attirandosi le critiche di insegnanti e genitori) dello straziante omaggio alle 309 salme allineate, tra cui amici, parenti, colleghi.

Nel libro si fa cenno alla famosa Commissione Grandi Rischi, presieduta dal prof. Boschi, incapace di andare oltre delle generiche valutazioni (l’imprevedibilità dei terremoti) e di scendere più in profondità nell’analisi di realtà complesse (come quella aquilana), alle battaglie per tenere assieme il tessuto connettivo commerciale, imprenditoriale ed istituzionale di una città che, per improvvidi provvedimenti politici, rischiava di essere smembrata a vantaggio di altri centri, al sacrificio di tanti concittadini che sono rimasti legati al territorio (compresi i più piccoli nel loro andirivieni tra la costa e le scuole di L’Aquila dove si ricevano ogni giorno per la scuola).

Si disegna il quadro di una Nazione tanto straordinaria nell’affrontare le emergenze (la Protezione Civile è un nostro fiore all’occhiello a livello internazionale), quanto impreparata nell’organizzare e pianificare la prevenzione degli innumerevoli rischi ambientali che farebbero sicuramente meno paura e sarebbero di gran lunga più gestibili se adeguatamente tenuti sotto stretto controllo.

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