Pinocchio, la favola moderna e senza tempo raccontata da Filippo Massacci

di ALCEO LUCIDI –

GROTTAMMARE – Continuano le serate in compagnia dei temi culturali più diversi inquadrate nel calendario degli appuntamenti culturali dell’associazione “Blow Up” e curate da Filippo Massacci attraverso la formula delle cene letterarie (formula tra l’altro consolidata che vede la partecipazione di un pubblico numeroso e sempre più entusiasta). Venerdì 5 aprile, presso il Ristorante Borgo Antico di Grottammare alta, fari puntati sulla favola di Pinocchio e sul suo meno conosciuto autore Carlo Lorenzini alias Collodi. Come di consueto ad inizio serata c’è stata l’introduzione di Massacci all’argomento, per l’occasione incentrato sulla trama del libro e sui suoi innumerevoli spunti di riflessione. La necessità di ricorrere all’esposizione e relativa analisi degli snodi narrativi del racconto si rendeva necessaria – esordisce lo studioso e lettore forte Massacci – per evidenziare il cammino di crescita di Pinocchio, da burattino a bambino e l’evoluzione del libro, da semplice storia inventata a efficace costrutto metaforico-simbolico, che la rende fruibile e vicina tanto ai bambini quanto, soprattutto, agli adulti.

Massacci nella sua trattazione ha teso a sfatare, di conseguenza, alcuni luoghi comuni che pesano su quello che resta il libro più diffuso della letteratura italiana, con traduzioni in oltre 240 lingue, decine di adattamenti ed una notorietà mondiale. Perché autorevoli interpreti ne hanno parlato come di un classico moderno? Ci riferiamo non solo ad Italo Calvino ma anche di Umberto Eco e Benedetto Croce. Evidentemente perché Pinocchio è una favola morale (non moralista!) su cui tutti dovrebbero riflettere e che non può essere ridotta alle avventure picaresche di un burattino scapestrato ed impertinente. Pinocchio, al contrario, non dice bugie, ma viene piuttosto ingannato. In realtà sono gli adulti che dicono bugie e ingannano: il gatto e la volpe, l’omino con la faccia di burro che porta i bambini nel Paese dei Balocchi.

Pinocchio commette errori, certo, ma cerca sempre di ripianarli con una rigenerata dose di fiducia. Si trova al centro di situazioni rocambolesche, di intrighi, di vagabondaggi e di tanta, tanta miseria, eppure, al momento opportuno muove sempre verso gli altri con un empito di solidarietà e misericordia. A tal proposito soccorre Alidoro in mezzo al mare, il cane mastino che, dopo essere stato arrestato ed essere sfuggito al loro controllo, i due carabinieri gli aizzano contro; è leale e sente di doversi riscattare agli occhi del contadino che lo sorprende a rubare l’uva nel suo campo, aiutandolo ad incastrare di notte le faine nel suo pollaio, senza infangare la memoria del cane Melampo, deceduto, che si accordava con le faine; inventa delle scuse che gli fanno crescere il naso di fronte alla Fatina anche se è solo per non essere ulteriormente raggirato e derubato dei cinque zecchini d’oro che Mangiafuoco gli ha regalato; prima di ricontrare il padre Geppetto nel ventre del pescecane, e non di una balena come molti pensano, va a scuola per un anno e diventa il migliore della classe.

Insomma, sin dall’inizio del racconto, in un capovolgimento della struttura morfologica della fiaba (non un regno ma l’umile bottega di un falegname, non un bambino in carne ed ossa ma un ciocco di legno) vi è un chiaro intento di rappresentare le contraddizioni umane risolte dalla forza dell’amore. Mastro Ciliegia e Geppetto (anche detto “Polentina” per via del colore della chioma) litigano per il legno parlante, eppure in quell’alterco si può vedere l’eterna contesa dell’anima umana spesso in lotta con se stessa, divisa da sentimenti diversi quando non opposti. Il ciclo colpa-espiazione-redenzione, inoltre, fa da sfondo all’intera vicenda e ne rappresenta, per così dire, il leitmotiv o filo conduttore.

La visione provvidenziale, filocristiana delle “Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” – tale il titolo originale dell’opera uscita a puntate tra il 1881 e il 1882 e pubblicata nel 1883, scritta da un giornalista toscano, Collodi, che aveva partecipato alle Guerre di Indipendenza della neonato Stato unitario – fa parte dei piani di lettura più interessanti e tuttavia meno scoperti dell’intera trama rievocata da Filippo Massacci che, non a caso, la cita e la sviluppa. La vita, nei suoi alti e bassi, può essere riscattata dalla passione e della carità, dalla comprensione ed il perdono. Non esistono strade diverse per dirsi uomini e costruire ponti, trasformando la testa dura di un burattino nel cuore pulsante e anelante gioia di un ragazzino.

Tutti gli esempi di rivisitazione del racconto – apparso a puntate su un periodico settimanale “Il Giornale per bambini” supplemento del quotidiano “Il Fanfulla” – più volte rimaneggiato dallo stesso Collodi sulla base delle indicazione del direttore Ferdinando Martini (politico, parlamentare e ministro) e del pubblico di lettori (l’intenzione dell’autore era quella di far morire Pinocchio impiccato), sembrano andare nella direzione di un cambiamento interiore del protagonista mosso da un senso di bontà maturata alla luce delle esperienze vissute. Soprattutto si evidenzia la poliedricità e ricchezza di livelli interpretativi di un libro che non smette di rilanciare significati riposti ed insegnamenti al di fuori di una retorica moralistica e didascalica.

Tra i percorsi di lettura più originali Filippo cita quelli di Giorgio Manganelli (Pinocchio. Una storia parallela), Edward Carey (Nel ventre della balena), il cardinale Giacomo Biffi (Contro Mastro Ciliegia) e, in una comprensione psicanalitica di Pinocchio e del rapporto affettivo, reciproco, interscambievole, capace di cambiare il mondo, tra padre e figlio, anche quello dello psicanalista e filosofo statunitense di matrice junghiana James Hillman (Puer aeternus). La chiusa ideale passa poi attraverso il poeta inglese Alfred Tennyson a significare la forza incoercibile della volontà contro i tutti i pesce-cani e le avversità del Fato da moderni Ulissi:

«Anche se molto è stato preso, molto aspetta; e anche se /
Noi non siamo ora quella forza che in giorni antichi /
Mosse terra e cieli, ciò che siamo, siamo; /
Un’eguale indole di eroici cuori, /
Fiaccati dal tempo e dal fato, ma forti nella volontà /
Di combattere, cercare, trovare, e di non cedere».

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