“Il Libertino” e il lato nascosto di noi

Foto di Antonio Vagnarelli

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

MONTEPRANDONE – All’Auditorium Pacetti, a Centobuchi di Monteprandone, lo spettatore ride e sorride, riflette e si sorprende, nella sera del sabato 19 gennaio. Stiamo parlando dello spettacolo teatrale “Il Libertino” organizzato da Nuovo Teatro Piceno. È una commedia che scorre come un fiume senza ostacoli. Pulita, divertente, ben strutturata, recitata benissimo e che ci ricorda cosa siamo e chi siamo. Ma prima di parlarne più diffusamente, facciamo un passo indietro per conoscere l’origine della commedia forse più rappresentativa del drammaturgo e scrittore contemporaneo francese Eric-Emmanuel Schmitt che, ad essere puntuali e precisi, è stato ed è anche altro: sceneggiatore, regista, saggista. Tale versatilità e poliedricità derivano, oltre che da naturale talento, dagli studi intrapresi. Schmitt dapprima si diploma al Conservatorio di Lione e poi si laurea in Filosofia dedicando la tesi alla metafisica e a Diderot, il filosofo francese che è stato, nel 18°secolo, uno dei massimi illuministi e autorevole enciclopedista.

Con presupposti così, con questo livello e qualità di studi dell’autore, è chiaro che uno spettacolo apparentemente semplice, leggero e divertente è qualcosa di più. Diventa un’opera che, oltre ad essere piacevole, rilassante, distensiva, fa anche riflettere e molto. È anche uno specchio di sé dove poter vedere quegli aspetti, quei modi di fare e di essere che, in fondo, ci appartengono, pur in misura diversa. Ci riguardano da vicino, scendono introspettivamente, creano riflessi psicologici. Ecco, il taglio “filosofico”, tipico nelle opere di Schmitt, nel “Libertino” lo vediamo bene. Per quanto impegnato e impegnativo, lo spettacolo non perde mai lo smalto, non abbassa l’attenzione. Resta una commedia divertente con bellissimi dialoghi scoppiettanti dove vediamo l’intellettuale Diderot, lucido e rigoroso pensatore, ospite del barone d’Holbach, alle prese con l’arte del donnaiolo, insospettabile ed arguto. L’opera teatrale mette in scena le contraddizioni umane, cercando di non farle apparire pesanti ma semplicemente parte di noi, condizione dell’uomo di tutti i tempi e di tutte le “classi” sociali. Lo spettatore, pur comodo in poltrona, si sente in qualche modo rappresentato. È sul palco anche lui, idealmente. Partecipa ed è una simbiosi perfetta.

La pièce, messa in scena al Pacetti, fa affidamento sulla collaudata bravura ed esperienza del regista Gianfranco Fioravanti e dell’assistente alla regia Mara Nicolai ed ha un cast di tutto rispetto. Gli artisti sono tutti all’altezza del ruolo, ben immedesimati con naturalezza e spigliatezza. Tra gli attori, oltre a Gianfranco e Mara che sono anche interpreti, rispettivamente del poliedrico ed eclettico Diderot e della figlia del barone d’Holbach, abbiamo la bravissima Sonia Burini (madame Therbouche, pittrice ladra e raffinata seduttrice), Sergio Lupi (Baronnet, collaboratore del maestro), Marina Stazi (remissiva madame Diderot) e la giovanissima Federica Benigni (figlia emancipata di Diderot). I costumi sono stati preparati da Silvana Carboni, mentre Dante Fioravanti è il tecnico audio e le luci sapientemente governate da Giuliano Paci. La scenografia, elegante e ben integrata allo spirito dei dialoghi, è stata realizzata con collaborazione della 3G – Castignano.

E come spesso accade, negli spettacoli ben riusciti, quando si sipario si chiude sulla rappresentazione e si riapre sui protagonisti, il pubblico resta, applaude, abbraccia gli attori e le attrici, fotografa, armeggia nella frenesia dei selfie, ride, si complimenta e diffonde un livello di empatia emotiva davvero alto. È cosi anche con “Il Libertino”. Un vero trionfo. Un piacere esserci stato.

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Foto ©Antonio Vagnarelli