Il diritto allo studio dei soggetti fragili

di GIUSEPPE FEDELI –

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 25 novembre 2014 n. 25011, hanno confermato che il diritto allo studio delle persone disabili è un diritto irrinunciabile. La S.C. ha tenuto a ribadire che «il diritto all’istruzione è parte integrante del riconoscimento e della garanzia dei diritti dei disabili, per il conseguimento di quella pari dignità sociale che consente il pieno sviluppo e l’inclusione della persona umana con disabilità» e che «una volta che il piano educativo individualizzato, abbia prospettato il numero di ore necessarie per il sostegno scolastico dell’alunno che versa in situazione di handicap particolarmente grave, l’amministrazione scolastica è priva di un potere discrezionale, capace di rimodulare o di sacrificare in via autoritativa, in ragione della scarsità delle risorse disponibili per il servizio, la misura di quel supporto integrativo così come individuato dal piano, ma ha il dovere di assicurare l’assegnazione, in favore dell’alunno, del personale docente specializzato, anche ricorrendo all’attivazione di un posto di sostegno in deroga al rapporto insegnanti/alunni, per rendere possibile la fruizione effettiva del diritto, costituzionalmente protetto, dell’alunno disabile all’istruzione, all’integrazione sociale e alla crescita in un ambiente favorevole allo sviluppo della sua personalità e delle sue attitudini».

La Convenzione internazionale sui diritti delle persone disabili dedica particolare attenzione all’istruzione delle persone disabili. Ragion per cui, al fine di concretare l’esercizio di tale diritto, gli Stati contraenti si obbligano a garantire il pieno inserimento nel sistema educativo scolastico dei soggetti diversamente abili (locuzione perbenista more italico; mi si passi la digressione, da approfondire in altra sede: ma esistono agli antipodi i “diversamente normali”?) assicurare (o, quantomeno, cercare di attuare) la tutela e lo sviluppo delle loro qualità individuali. L’integrazione scolastica ha, infatti, come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della persona di-versa nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle relazioni e nella socializzazione.

Il catalogo dei diritti allo studio, all’istruzione, all’educazione e alla formazione professionale viene inteso come strumento concreto per l’applicazione del principio personalistico della Costituzione, volti alla valorizzazione e allo sviluppo della personalità degli individui, specie mediante l’apprendimento della comunicazione, anche di tipo alternativo/ aumentativo, piuttosto scarsa in soggetti che faticano a relazionarsi con l’altro-da-sé: e questo non solo per problematiche endogene(talora congenite), ma anche per la vischiosità della società ad accettare chi non risponde ai canoni della convenzionale “normalità”. La stessa Corte Costituzionale, già con la sentenza dell’8 giugno 1987 n. 215, ebbe a puntualizzare «la frequenza scolastica è dunque essenziale fattore di recupero del portatore di handicap e di superamento dell’emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno di tali elementi interagisce sull’altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità» .

Mi piace concludere con una riflessione del padre-alfiere dei diritti dei deboli e degli svantaggiati: “Del resto, bisogna riflettere sul fatto che l’integrazione scolastica è prodromica rispetto all’integrazione lavorativa e sociale, per cui una scuola capace di educare disabili e normodotati alla convivenza non può che anticipare una società futura in grado di poter prendere decisioni che tale convivenza sappiano gestire e perpetuare”.

Giuseppe Fedeli – Avvocato, Giudice di Pace di Fermo

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