“Incontri con l’autore”, Stefano Tura tiene banco alla Palazzina Azzurra

di ALCEO LUCIDI –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – E fanno venti. Sono le presentazioni degli “Incontri con l’autore”, tra le oltre quaranta previste, che fanno salire a trentasette – cifra record – le edizioni finora organizzate. Un numero certo ambizioso – usiamo per una volta senza retorica ma anche senza reticenze – questo aggettivo per l’evento culturale sambenedettese più longevo in assoluto. Ospite della serata di sabato 21 luglio presso la Palazzina Azzurra Stefano Tura. Di Tura sappiamo molto (delle sue corrispondenze RAI da Londra) e, al tempo stesso, poco. Quanti, ad esempio, lo conoscono sotto il profilo dello scritto, o meglio del giallista. Un romanziere di polizieschi che con A regola d’arte (Piemme), l’ultima sua fatica letteraria, conclude una trilogia del crimine comprendente Tu sei il prossimo e Il principio del male.

Molti sono i punti di raccordo con il nostro territorio – sottolinea il noto giornalista – proprio “a partire dall’amicizia che mi legava a Sabatino D’Angelo per me un maestro ed un guida”. Non solo “i miei nonni erano di Monteprandone ma l’incontro di stasera è più di una semplice formalità, alle quali sono abituato andando in giro, quanto un ritorno a luoghi cari”. Da qui l’emozione tradita ed un pizzico di sano umorismo, parlando dei vizi e delle virtù degli italiani nel mondo, e nello specifico della comunità tricolore di Londra, a cui Tura non tarda ad abbandonarsi.

In effetti, tutta l’attività giornalista di Stefano – dagli esordi come cronista di nera e giudiziaria per la redazione Rai dell’Emilia Romagna ai trascorsi come inviato di guerra nelle sedi estere – ha un impatto diretto sulla sua attività letteraria. Per chi ha conosciuto le efferatezze della guerra, essendo stato nella Ex-Jugoslavia, l’approdo è quello verso un genere che della gratuità del Male, della lotta, anzi, irriducibile e continua, tra Bene e Male, della ricerca della verità (quale poi?) nella giustizia fa i suoi capisaldi.

Il personaggio-chiave di tutti e tre le narrazione è l’ispettore Alvaro Gerace. Anche in Regola d’arte esiste una rete di legale tra il detective italiano e la poliziotta che sta indagando sulla morte di un imprenditore in vista della società affaristica italiana a Londra, un facoltoso immobiliarista, mecenate e finanziatore di mostre d’arte: tale Achille De Vitis. Il misterioso omicidio, sul quale di diffonde ben presto l’omertà degli illustri ospiti presenti (diplomatici, speculatori, faccendieri, manager, businessmen), commesso da uno spietato pagliaccio che si fa chiamare Filippo, è il realtà collegato ad una serie di terribili scomparse di bambini tra Londra e l’Italia. Su questi fatti si applicano non solo Gerace e la poliziotta inglese (Amanda Jefferson), ma l’altro grande comprimario: il commissario James Riddle, Chief Superior Intendent di Scotland Yard, rude, biondo, massiccio, dalle umili origini.

La cronaca, come spesso accade nei noir, è il pretesto o, comunque, l’evento scatenante per tracciare un quadro della società inglese. Nel nostro caso l’Inghilterra della Brexit, piena di dissidi interni e di diseguaglianze sociali che si fanno sempre più marcate, dove gli italiani – oltre 600.000 – rappresentano una parte vivace, giovanile per la maggior parte, del composito melting-pot etnico di Londra, metropoli tentacolare da oltre venti milioni di abitanti. Sono proprio questi giovani, sfruttati, con piccoli lavori, ad aiutare gli inquirenti a dispetto degli altolocati connazionali che nella city hanno trovato prosperità e ricchezza tra mille maneggi.

L’autore non vuole accusare nessuno nel suo libro; non fa riferimento a fatti reali; si attiene dal dare giudizi eppure ci porta a ragionare su tutto ciò di insondabile che si annida nell’animo umano. Anzi, riferendosi al pagliaccio assassino, che compie delitti perfetti, appunto “a regola d’arte”, che sfugge sistematicamente alla giustizia, afferma: “Nulla è più oscuro dell’animo umano”.

Un romanzo del genere – conclude Tura – “non è consolatorio. I misteri vengono svelati. Ad ogni modo, ma alla fine nulla è più come prima”. Amarezza, sconforto, smarrimento accompagnano il lettore che non trova appigli a cui afferrarsi in una società – per parafrasare il filosofo Zygmut Baumann – divenuta con il tempo “liquida”, dove gli antichi valori, credenze, sicurezze vengono ben presto superate dalle grandi trasformazioni tecnologiche, sociali ed economiche del presente.

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