Tutti siamo stati Karius almeno una volta nella vita

di ROSITA SPINOZZI –

Non sono un’esperta di calcio, ma la finale di Champions League che ha visto scendere in campo Real Madrid e Liverpool l’ho vista. Risultato finale 3-1, causato da due disastrosi interventi del portiere tedesco del Liverpool Loris Karius, talmente tanto goffi da essere stati chiaramente visibili persino dalla sottoscritta. Ripercorriamo in breve la carriera del biondo portiere 24enne: ha giocato prima allo Stoccarda, poi con il Manchester City, poi è passato al Magonza e due anni fa è tornato in Inghilterra, dove il Liverpool ha sborsato la “modica” somma di quasi cinque milioni di sterline per accaparrarselo. Karius è un valido atleta ma, dicono gli esperti, è solito commettere errori imperdonabili quando è vittima dello stress. E questi errori, il 26 maggio 2018, lo hanno umiliato in mondovisione facendolo diventare bersaglio dei social. Ma non del Liverpool. Ed è proprio questo il punto. Tutto quello che è venuto a galla dopo, per giustificarlo, poco importa. Per la cronaca: dietro i suoi clamorosi errori, costati la finale di Champion League al Liverpool, pare ci sia stato un trauma cranico. Sembrerebbe che Karius abbia giocato infortunato, “dopo aver subito all’inizio del secondo tempo un’involontaria gomitata in testa da parte di Sergio Ramos”, un impatto talmente violento che, secondo i sanitari del Massachusetts General Hospital,  “ha causato palesi disfunzioni visive e di orientamento durante la partita”. Una tesi subito messa in dubbio dal neurochirurgo italiano Franco Benech, consulente medico della Juventus, il quale reputa “impossibile che un giocatore con commozione cerebrale possa restare in campo”. Di tutto questo “circo” mediatico, è interessante invece spostare l’attenzione su quanto è accaduto, da un punto di vista umano, a fine partita. Karius, comprensibilmente disperato, si è accasciato sull’erba del campo dove, ignorato dai suoi compagni di squadra, è stato raggiunto dall’avversario che aveva messo a segno proprio quel gol che ha dato il “colpo di grazia” al biondo portiere e non solo. Una stretta di mano. Karius si è alzato e, singhiozzando, ha raggiunto la curva dei tifosi del Liverpool chiedendo perdono a mani giunte. E loro lo hanno applaudito. Perché la sua disperazione era talmente genuina, il suo sguardo così sincero e implorante, che andava perdonato. Karius è un essere umano e, come tale, ha i suoi limiti. E laddove i social attaccano e in alcuni casi – soprattutto quando c’è di mezzo un personaggio famoso – provano un perverso piacere ad infierire sul dolore altrui piuttosto che essere solidali, i tifosi del Liverpool hanno saputo perdonare e accogliere con un applauso il pentimento. Con grande sollievo di Karius che, sempre sui social, dove finora era stato oggettivamente bello, a fine partita era stato preso di mira per il suo “faccino” e per il “codino”. Ma Karius, con il suo gesto, ha dimostrato di essere bello anche dentro. Per curiosità sono andata a leggere le parole dell’inno del Liverpool. Sono bellissime. Una frase mi ha colpito in modo particolare: “Quando cammini attraverso una tempesta, mantieni la testa alta, e non avere paura del buio”.  Perché alla fine “c’è un cielo dorato”. Karius, dopo un primo momento di sgomento, forse grazie anche al gesto dell’avversario, ha smesso di avere paura. Ed è stato perdonato. A noi il dovere di comportarci da esseri umani e di non infierire nella disfatta altrui. Il calcio è uno sport che accende gli animi, dove è legittimo tifare. Ma non “distruggere” le persone. E questo il Liverpool lo sa. Ed ora anche Karius. In fondo le sue lacrime sono anche le nostre perché, ammettiamolo, è capitato a tutti noi di essere stati Karius almeno una volta nella vita.

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