La festa della famiglia, perché no? Ma la mamma è sempre la mamma…

di ROSITA SPINOZZI –
Non c’è più la festa della mamma e del papà nell’asilo romano Chicco di Grano, sito nel quartiere Ardeatino. Una coppia omosessuale ha chiesto – e ottenuto – la cancellazione delle due festività ritenendole discriminatorie. L’asilo in un primo momento aveva proposto di renderle facoltative, ma di fronte al disaccordo della suddetta coppia, la decisione definitiva è stata quella di abolirle definitivamente a favore di una festa della famiglia, considerata più inclusiva nei confronti dei genitori dello stesso sesso. L’epilogo di questa storia non è piaciuto all’associazione Articolo 26, formata da genitori e educatori, la quale ha definito “discriminazione al contrario” la scelta di eliminare le tradizionali feste. Così, per risolvere il problema, pare siano andati in Comune che, a sua volta, ha difeso la scelta dell’asilo, sostenendo che “le due secolari celebrazioni sono ideologiche e quindi ormai da cancellare con una più inclusiva festa delle famiglie”. Tempestiva la reazione dell’associazione Articolo 26, la quale ritiene questa posizione grottesca e afferma che “democrazia significa rispettare i diritti della persona e delle minoranze senza annullare i diritti delle maggioranze. È, inoltre, divisivo ledere i diritti di tutti gli altri genitori e bambini ed è ideologico cancellare i massimi simboli dell’umanità, di cui fanno parte sia i due genitori omosessuali, anch’essi nati da uomo e da donna, sia i loro bambini”.  Una diatriba che prosegue da settimane, coinvolgendo persino esponenti politici, associazioni, personaggi del mondo dello spettacolo, gente comune e via dicendo. Ma Roma è abituata a queste cose, visto che  già nel 2015 un episodio pressochè identico si era verificato nella scuola dell’infanzia Contardo Ferrini, nel quartiere Trieste.
Querelle a parte, la questione porta a riflettere. E ci si chiede se quello romano resterà un episodio isolato, oppure darà modo anche ad altre realtà scolastiche di prendere la medesima decisione. Da un punto di vista personale non sono mai stata una simpatizzante delle cosiddette “feste a comando”, poiché in realtà racchiudono una matrice prettamente consumista. Però resto del parere che figure archetipiche come quelle del padre e della madre rivestano un ruolo fondamentale nella crescita di un bambino o di una società, pertanto è bene preservarle a prescindere dall’identità sessuale del genitore. Le coppie omosessuali, a mio avviso, hanno la stessa dignità e valenza di quelle eterosessuali. Non trovo discriminatorio per loro la festa del papà o della mamma, in quanto possono festeggiare l’una oppure l’altra. Ammetto, però, che l’idea di una festa della famiglia in senso più generico apre di certo nuovi e più ampi orizzonti. La famiglia include tutti. Zii compresi che, se non erro, non hanno mai avuto il beneficio di una festività a loro nome, nonostante l’importanza che assumono nella crescita dei nipoti. Detto questo, festeggiare la famiglia nel senso più ampio del termine non è mai un errore. Ma lasciamo la festa della mamma e del papà dov’è, non tocchiamola. Al limite rendiamola facoltativa. E, soprattutto, lasciamo i bambini liberi di festeggiare chi ha dato loro la vita. Tutto ciò nel pieno rispetto delle coppie omosessuali che non devono assolutamente sentirsi discriminate, ma anch’esse libere di scegliere se festeggiare oppure no. Andiamo incontro ad una società sempre più libera, multietnica, aperta e allargata. Quel che più conta è l’amore, quello vero, a prescindere dalla sessualità e dal luogo di provenienza. Nessuna discriminazione. Ma facciamo ai nostri bambini il dono più grande che possa esserci: la libertà.

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