È morto “lo” chef, se n’è andato Gualtiero Marchesi

di MASSIMO CONSORTI –

Certo che Gualtiero Marchesi uno Chef lo è stato davvero, perché se la cucina è un’arte, lui è stato uno dei pochissimi cuochi al mondo a interpretarla al meglio. È morto a 87 anni, problemi cardiaci dopo una bronchite, proprio mentre stava lavorando alla rivisitazione e codificazione della sua cucina e dei piatti che lo hanno reso famoso nel mondo, primo fra tutti il risotto con la foglia d’oro che divenne anche il simbolo della “Milano da bere”, un vero e proprio must in perfetto stile Cartier.

Ma cosa aveva di così grande Gualtiero Marchesi da fargli guadagnare, primo in Italia, le 3 Stelle Michelin? Probabilmente quello che ogni grande cuoco dovrebbe avere, un grande rispetto della tradizione che pur rivista con quel pizzico di cultura che ne aumenta la qualità, resta la base dell’identità non solo culinaria di un popolo.

In una intervista rilasciata tempo fa alla Rai, Marchesi riportò una frase pronunciata da Paul Bocuse nella quale lo chef stellato francese affermava: “Il declino dei cuochi francesi inizierà quando quelli italiani si renderanno conto dell’immenso patrimonio culinario regionale che possiedono”. E Marchesi, del patrimonio regionale, soprattutto di quello lombardo, ne ha fatto la sua vita, la sua arte, la sua cucina.

Gualtiero Marchesi non sbagliava un congiuntivo neppure sotto tortura, aveva una cultura enciclopedica, era un amante appassionato dell’arte e della musica, non a caso il suo ristorante a Milano si trova a quattro passi dalla Scala, non ha mai fatto pubblicità alle patatine fritte né alla pasta industriale né ai living futuristici. Tutto il suo valore e la sua passione li riversava in cucina dove, a totale suo merito, nessuno lo ha mai sentito gridare: un appassionato di Mahler, come tutti sanno, non grida mai, neppure quando segna la squadra del cuore. Ultimo progetto al quale stava lavorando, la Casa di riposo per “cuochi veri” che, grazie alla Fondazione che porta il suo nome, aprirà i battenti a Varese il prossimo anno.

“Dove i cuochi anziani – diceva Marchesi – potrebbero portare il loro bagaglio di esperienze al servizio dei giovani studenti. L’importante è che abbiano veramente fatto sempre i cuochi. Non i ristoratori. E nemmeno i dilettanti indipendentemente dal livello dei locali in cui lavoravano: cuochi veri, che hanno dato la vita a questo mestiere”. Così parlò colui che non volle mai essere chiamato Maestro.