Pizzo tre Vescovi e i suoi miracoli

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

C’è una montagna dei Sibillini che ha un nome curioso, Pizzo tre Vescovi, forse un po’ meno conosciuta se la confrontiamo al vicino Monte Priora, alla Sibilla e, un po’ più in là, al Vettore. Ha la caratteristica che la sua cima è il punto di confine dei territori comunali di Montefortino, Bolognola, Ussita che anticamente, ed è questa la singolarità, appartenevano a tre diocesi distinte, quindi tre diversi vescovi. Da qui il nome. Non solo, le tre diocesi del tempo, che erano Camerino, Foligno e Fermo, a loro volta sono su tre differenti province. Il tre è il numero perfetto in molte culture, il numero dell’armonia, dell’unione, della forza e sarebbe romanticamente credibile se anche i percorsi possibili per raggiungere la vetta, dove spicca una grande croce in metallo, fossero tre. In un certo senso è così, se consideriamo le tre valli ai suoi piedi. Ovviamente, per gli appassionati di trekking, i sentieri percorribili sono di più. Ma non ci interessa soffermarci sugli aspetti puramente escursionistici, quanto il raccontare una storia che in quel “tre” e i suoi significati in un certo senso si è rispecchiata, vivendo il fascino della Natura più autentica, un po’ misteriosa, un po’ selvaggia, e con un valore aggiunto, definibile terapeutico, quasi miracolistico. Ed è di questo che vogliamo parlare.

Prima di raccontare l’episodio, accenniamo ad una delle malattie degli ultimi decenni: gli attacchi di panico. Malattia subdola, insinuante, complessa e particolarmente vorace: quando ti prende, lo fa nell’interezza dell’essere, corpo e mente, senza trascurare sentimenti e psicologia. Chi ne soffre, o ne ha sofferto, sa bene di cosa parlo. Per coloro che hanno avuto la fortuna di non conoscerla, provo a spiegarla. Accade che, dal nulla, mentre credi di essere nel pieno delle facoltà, in una vita normale, arriva a sorpresa e inspiegabilmente una sfilza di sintomi presi a prestito da altre disfunzioni. Arrivano dal nulla e nel nulla tornano per poi riprendere a sorpresa, magari mentre guidi, o sei al supermercato, o stai parlando con gli amici in una pizzeria. Un’improvvisa palpitazione crescente, mentre le gambe tremano, ti senti opprimere e il cuore sembra una grancassa. Ti manca l’aria ed avverti uno svenimento che non ci sarà. Ma lo vivi, lo senti arrivare rapido, così come percepisci forte e con certezza che sei ad un passo dal decesso. Ti devi appoggiare, senti che non reggeresti da solo. In realtà il corpo è in salute, ma vivi tutto come reale, imminente ed inevitabile. Diventa difficile stare tra la gente. Una festa in piazza, un mercato, un corteo, diventano le occasioni da evitare. Ci sono lunghi momenti dove tutto diventa estraneo. Corpo e mente non sono allineati. Sali le scale con la sensazione che non sei tu che stai camminando. Sei all’esterno di te. Senti parlare e le parole diventano tamburi fastidiosi. Vivi in una bolla irreale ed impenetrabile.
Sono solo una parte limitata dei possibili sintomi. Gli attacchi di panico sanno reinventarsi e soprattutto sanno mimetizzarsi per cui, prima che il paziente arrivi a capirci qualcosa facendosi visitare da un neurologo, avrà fatto nel frattempo esami ed analisi che non riveleranno nulla, vivendo nell’angoscia.

Ecco, Lorenza (nome a caso, ma storia vera) è in queste condizioni quando partecipa ad una camminata verso la cima del Pizzo tre Vescovi. La prima parte è tranquilla, bei sentieri semplici, prati, qualche piccola zona scoscesa ma niente di ché. Si sente bene, è in forma. Ormai gli attacchi sa riconoscerli, li ha da tre mesi e sta imparando a tenerli a bada con l’aiuto di un farmaco. Sa anche, però, con non è mai al riparo del tutto e che si ripresenteranno, al solito, a sorpresa. Si arriva ad una spianata dove si vede bene il crinale che sale ripido, ardimentoso con spiovenze che appaiono, nella percezione di Lorenza, nette e rischiose. Rallenta il passo, mentre gli amici proseguono. Ha già deciso di fermarsi, li aspetterà lì, sul prato rassicurante. Poi un’idea: cosa cambia fare qualche decina di metri? Alla peggio tornerà indietro. Quando inizia a salire, si accontenta di un metro per volta. Ed intanto vede che gli altri sono già più su, nota che le inclinazioni laterali sono accentuate ma non così esagerate, che il sentiero è stretto e ripido ma non impossibile. Ma il timore è forte, qualche segno della sintomatologia compare, è li che galleggia.

Ed ecco l’intuizione: un solo passo, uno. Poi un altro, ed un altro ancora. Non più un metro per volta, ma singoli passi. Ognuno ha vita propria. Lorenza non guarda indietro, né davanti. Non guarda di lato: osserva solo le sue scarpe. Tutto il mondo è nel singolo passo. Così nota il sasso dai bei colori, il fiore, il ciuffetto d’erba. Un nuovo passo, ed un altro. E via camminando, senza mai alzare lo sguardo, sempre restando incollata al suolo, s’accorge che gli amici non sono più lontani, addirittura ha raggiunto e superato qualcuno. Si rende conto che le energie confluiscono, che la concentrazione al passo e a ciò che vede intorno ai suoi piedi le stanno donando un vigore inaspettato, una forza nuova ed un piacere che non avrebbe osato chiedere. E senza accorgersene è lì, vicino alla grande croce: l’arrivo, il punto dove farsi una foto tutti insieme e guardare la vallata, gli orizzonti, il percorso fatto. E dirsi “caspita, ce l’ho fatta”.

Da allora, Lorenza sa gestire i sintomi, al punto che gradualmente non sono più comparsi. Sa che, passo su passo, si arriva ovunque, si raggiungono obiettivi. E soprattutto sa che il qui ed ora altro non è che riconoscere la dignità al momento, saperlo apprezzare, saper stare nell’ispirazione, nell’idea. Saper volteggiare insieme alla foglia, saper incrociare uno sguardo leggendoci una vita. Sa che nel singolo passo c’è tutto il proprio mondo.

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