Vincent van Gogh, quando l’anima diventa colore e luce

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

“Se oggi non valgo nulla, non varrò nulla nemmeno domani; ma se domani scoprono in me dei valori, vuole dire che li possiedo anche oggi. Poiché il grano è grano, anche se la gente dapprima lo prende per erba.”
Vincent van Gogh ha appena compiuto 169 anni, era nato il 30 marzo del 1853, e ci piace ricordarlo con delle “pennellate” sulla sua vita d’artista fuori dal coro, fuori dalle armonie comuni e comuni pensieri. Fuori da tutto, come ce lo siamo sempre immaginato, con i colori intensi e vibranti nelle sue tele, i cieli accesi e i girasoli più potenti del sole, rappresentati da pennellate di un vigore nervoso, maniacale senza intromissioni, come a voler esorcizzare le proprie inquietudini. Ma è davvero così? Davvero aveva un carattere ombroso, turbolento, eccessivamente malinconico e senza quiete interiore? La risposta sembrerebbe assertiva, ma dobbiamo capire la ragione di quel fuoco che lo divorava, quasi senza speranza. Proviamo a rintracciare frammenti dell’essere.

Interessante ricordare che prima ancora di diventare l’artista che è stato, cercava febbrilmente qualcosa negli studi teologici: cercava un perché e un percome. Cercava un senso al tormento, al bisogno – non sembrerebbe – di stare con la gente e tra la gente, soprattutto gli emarginati. Voleva capire i poveri, donando loro anima e sostanza. Voleva credere al senso cristiano del vivere, alla condivisione, al “dono” di sé. Attraversava le sofferenze, volendole accarezzare. Ma il mondo è strano, lo è davvero. Guai a prendere alla lettera il messaggio evangelico, va a finire che i propri superiori – Vincent era un predicatore – non apprezzino tanto zelo, e glielo fanno pesare.

E così, a 27 anni, confuso e frastornato, il ragazzo diventa van Gogh, il pittore che ancora prende alla lettera il proprio compito: raccontare ciò vede e sente, così come lui vede e sente. E percepisce. Ed è stufo delle contraddizioni del mondo. Ne è stufo ma non è salvo, non è distaccato, non trova pace. Disegna e dipinge quei personaggi, le loro miserie vissute con dignità, le loro mani, gli sguardi, scene di una vita senza un domani. Poi la svolta, va a Parigi, a Montmartre, tra Monet e Lautrec, a capire la luce, le vibrazioni, il rinnovamento culturale, i fermenti. Ne prende l’essenza, la fa propria, inventa la sua pittura, con i suoi colori, la sua luce. È lui, è Vincent van Gogh che a un certo punto, quando sembra la via giusta, la direzione precisa e apprezzata, esce ancora di scena, abbandona la bella capitale, le botteghe d’arte e le amicizie importanti e scende in Provenza perché è lì, solo lì, che i girasoli riflettono una luce carica come non mai, e la gente è più simile a lui, o forse è più simile all’idea che è in lui. È più simile a ciò che non esiste.

Ancora vorrebbe credere che si può condividere, che c’è la via umana nelle ore del giorno, nei gesti quotidiani. E forse è troppo forte il bisogno di un affetto che non è mai colmo. Il resto della storia è anche cronaca, quella con Paul Gauguin, molto diverso da lui, e l’episodio dell’orecchio. E il colpo di pistola che pone fine ad una infelicità senza rimedio quando ha solo trentasette anni. La disperazione chiama e richiede il rito del sacrificio e dell’espiazione, con l’uscita di scena, definitiva. C’è sempre un sipario sui palcoscenici della vita. La follia è a volte l’eccesso di una buona visione che non si sa gestire per colpa di fragilità emotive e spinte ad osare oltre misura. Restano opere struggenti, come “La sedia di Gauguin”, vuota e desolata con la candela accesa. Ma ogni opera è un “opera”, ogni dipinto parla di lui e attraverso lui. Non sarà un caso che l’ultimo quadro realizzato è quello con il campo di grano con i corvi. Un’opera che non ha bisogno di commento. Dice tutto, basta guardarla con gli occhi di chi partecipa ad un dolore che non trova più la speranza.

Ci piace concludere con alcune sue frasi che ben lo rappresentano e dicono molto su lui.
“Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni.” “Non soffocare la tua ispirazione e la tua immaginazione, non diventare lo schiavo del tuo modello.” “Cerca la luce e la libertà e non meditare troppo sui mali della vita.” “Che cosa sarebbe la vita se non avessimo il coraggio di correre dei rischi?” “Più ci penso, più mi rendo conto che non c’è nulla di più veramente artistico che amare gli altri.” Auguriamo a Vincent che quella fame di amore e quel bisogno di abbraccio interiore abbiano trovato, in un mondo parallelo, una risposta.

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