Quel mito chiamato albero, dalle Antiche Scritture ai nostri giorni

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Che ai nostri occhi gli alberi siano protagonisti di miti e leggende, fa parte del comune “sentire”. Lo sono per certi racconti dei padri quando eravamo bambini, o per quelle favole della nonna, quando potevamo ancora permetterci di stare seduti sulle sue ginocchia. Lo sono per qualche esperienza vissuta, quando siamo cresciuti, come il primo bacio appoggiati ad un pino un po’ appartato in una pineta cittadina. Non ci sorprenderà, allora, vedere che se ne parla in miti veri e propri, tanto in quelli greci quanto nella mitologia dell’Antica Roma, così come sono ben presenti nelle Antiche Scritture, o nelle tradizioni di popoli lontani, come i Celti e i Nativi Americani. Praticamente, tutte o quasi le specie arboree e arbustive sono interessate, così come quelle aromatiche. Facciamo cenno ad alcune di esse.

Quella più romantica è la storia di Filemone e Bauci che chiesero di morire insieme e furono trasformati da Zeus in una quercia e un tiglio uniti per il tronco, per non lasciarsi più e intrecciare i loro rami. Tra i più antichi – e sacri – ci sono i racconti legati alla vite e all’uva. Se ne parla già con Noè, in occasione del diluvio universale. Oltre agli animali, il patriarca salvò la vite per impiantarla nuovamente ad acque quiete e a terra riconquistata. Da allora, la vite ha oltrepassato ogni confine geografico, storico e culturale: è praticamente presente ovunque. Restando nell’argomento della sacralità, l’albero che più di altri è caro alla cultura cristiana, e non solo, è l’ulivo. Lo troviamo già nei libri dell’Antico Testamento: una colomba ne portò un rametto a Noè alla fine del lungo viaggio, come a voler augurare pace e serenità, e nuova prosperità. I credenti cattolici prendono un rametto benedetto nella Domenica delle Palme, a ricordo dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme. E come non nominare il Santo di Assisi? Per chi è stato nell’incantevole e antico Santuario dell’Eremo delle Carceri, a 800 metri di altitudine e a pochi chilometri dalla cittadina umbra, non sarà sfuggita la vista di un plurisecolare olivo leccio. La leggenda vuole che si sia svolta lì vicino la predicazione agli uccelli da parte di S. Francesco (avvenuta probabilmente altrove, in realtà).

Dal sacro al profano, ma non troppo, ecco l’alloro, onnipresente in molte culture. Per i Greci era Dafne, la ninfa che non poteva amare (a causa di una freccia di Cupido dall’effetto inverso) e che venne trasformata in pianta d’alloro per salvarla dall’invadenza di Apollo. Nell’Antica Roma, una corona d’alloro simboleggiava la gloria dell’eroe, o anche l’eloquenza di un uomo saggio. Tutt’oggi non può mancare agli esami di laurea, ad esposizione della tesi conclusa. Il sommo Dante osserva e tace, e forse sorride compiaciuto. Se c’è un frutto che “non” mette d’accordo tutti, è la mela, il “pomo della discordia”. Come mai? La dea Eris non era stata invitata ad un banchetto di matrimonio e litigiosa com’era lanciò la sua provocazione, buttò una mela d’oro tra le vivande, con una incisione: “alla più bella”. Le dee presenti litigarono tra loro, ognuna convinta fosse lei la destinataria. Da qui, il famoso “pomo della discordia”. Ma la mela è anche altro, per fortuna. La sua pianta, il melo, è l’Albero della Conoscenza. Senza dimenticare infine la famosa mela che il serpente offre ad Eva nel libro della Genesi, primo passo sulla strada della consapevolezza tramite la disubbidienza (anche se questo risvolto interpretativo Eva non lo conosceva di certo).

Un omaggio anche all’Albero Cosmico, presente in molte culture, a quel bisogno tutto umano di unire in qualche modo cielo e terra, a voler essere centrali nella creazione, specie privilegiata tra le forme viventi e forsanche “divina”. L’Albero Cosmico è un albero rovesciato, le radici proliferano in alto, a cercare quel “contatto” con il centro delle cose, mentre i rami sono qui, tra noi, a portare i loro frutti guardando nel basso. Pur con delle differenze, quest’albero lo troviamo tanto nella cultura vedica, quanto in quella celtica, passando per Platone, Buddha, l’Islam. Non poteva sfuggire all’Alighieri che ne parla nei canti XXII e XXV, nel Purgatorio.

Infine c’è l’albero “terapeutico”. Una semplice camminata prolungata in una pineta, meglio ancora in un bel bosco, come una faggeta, restituisce quiete, armonizza i pensieri, dona maggiore fiducia e lucidità mentale, aiuta a prevenire le malattie respiratorie o ne aiuta la guarigione. Tecnicamente stiamo parlando della “silvoterapia”, metodica ben nota ai naturopati e che ha avuto riconoscimento scientifico. Aggiungiamo che se la silvoterapia viene praticata con il giusto approccio psicologico-filosofico, ovvero con un atteggiamento contemplativo e di ascolto, di empatia e relazione con la natura, sarà sicuramente più facile avvertirne i benefici. E tornare in città con altro spirito, meno conflittuale, più collaborativo.

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