Il melograno e i suoi frutti: tra ricordi, miti, arte

di AMERICO MARCONI –

Ottobre è il mese delle melagrane che maturano. La scorza rossa delle bacche si spacca e mostra i tanti semi ricoperti di polpa. Questo è il segno che si possono raccogliere. Nei ricordi ritrovo due piante di melograno alte un tre metri nel giardino sulla Nazionale dei nonni materni, tra cachi, limoni, cedri, uva e due piante di giuggiolo. Anche le giuggiole si colorano e maturano in ottobre. Ed era tutto un girare per campagne scovando dove stavano melegranà e zuzzerri, melograne e giuggiole. Tra noi ragazzi i più educati li chiedevano, gli altri all’imbrunire li rubavano.

Nella mitologia la melagrana ha suscitato numerosi racconti. Il principale narra di Ade, il fratello di Zeus, re del mondo dei morti che in una delle sue uscite vide la bella Persefone, figlia di Demetra, e se ne innamorò subito. La Terra, complice di Ade, fece sbocciare un bellissimo fiore. Persefone s’inchinò per coglierlo e la Terra si spalancò. Ade pronto rapì la giovane e la portò con sé nel regno delle tenebre. Demetra si accorse della sparizione della figlia e vagò disperata alla sua ricerca; finché Elios/Sole – il dio che tutto vede e sa – le rivelò il rapimento. Demetra si recò da Zeus e pretese la restituzione della ragazza, pena una carestia senza fine. E detto da lei, divinità del grano e dell’agricoltura, la minaccia faceva paura. Zeus chiamò Ade imponendogli di liberare Persefone e così fu fatto.

Quando si riabbracciarono Demetra chiese alla figlia se avesse mangiato qualcosa nel regno dei morti. Persefone confessò di aver gustato solo piccoli semi dolci di melagrana. Demetra dispiaciuta spiegò che quei semi l’avevano legata per sempre al suo sposo. La giovane sarebbe dovuta tornare per un periodo dell’anno sottoterra da Ade, il Plutone dei Romani. E lei per la pena avrebbe spogliato gli alberi e rabbuiato il cielo (autunno, inverno). Quando Persefone avrebbe fatto ritorno dalla madre, le piante si sarebbero vestite di foglie e fiori, al sole e al caldo (primavera, estate). Ecco una suggestiva spiegazione mitica dell’alternanza delle stagioni. Legata all’amore filiale tra le due dee: le greche Persefone e Demetra, poi Proserpina e Cerere romane.

Gian Lorenzo Bernini fu architetto, scenografo, scultore eccelso. Raggiunse un tale virtuosismo nella scultura tardo manierista che sembra, in alcune sue opere, voler superare i limiti della materialità. Uno dei suoi capolavori, eseguito poco più che ventenne, fu il Ratto di Proserpina del 1622. Due sono i personaggi: Plutone, vecchio e forte re, cinge e alza la disperata Proserpina prima di trascinarla sottoterra. Poi Apollo e Dafne del 1625, dal mito di Dafne che per sfuggire ad Apollo è trasformata in pianta di lauro. In questi gruppi marmorei la definizione dei particolari e la plasticità non appartengono più al regno dell’immobile pietra. Ma diventano miti vivi nella spazio espositivo e nell’immaginazione dello spettatore. Li possiamo ammirare al Museo Galleria Borghese di Roma. In un parco che rimanda alle verdi origini delle storie.

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“Ratto di Proserpina” di Gian Lorenzo Bernini, eseguito tra il 1621 e il 1622 ed esposto nella Galleria Borghese di Roma