La Costituzione dopo il sì. Ecco le conseguenze del referendum

di FELICE DI MARO –

Il Referendum confermativo che si è svolto il 20 e 21 settembre ha confermato la riforma costituzionale approvata dal Parlamento. I Sì hanno ricevuto il 69,64% dei voti (17.168.532) contro il 30,36% dei No (7.484.918). Gli elettori sono stati 46.418.698 con un’affluenza alle urne del 53,84% degli aventi diritto –

Si è svolto insieme alle elezioni regionali di 7 regioni e a quelle amministrative di 1176 comuni ma anche con le Suppletive del Senato per la Sardegna (Collegio uninominale 03 Sassari) e per il Veneto (Collegio uninominale 09 Villafranca di Verona). Il quesito referendario è stato sul taglio di 345 parlamentari e sul numero massimo dei 5 senatori a vita nominati dal Presidente della Repubblica. È stato richiesto da 65 senatori, oltre un quinto come è prescritto dal comma 2 dell’art.138 della Costituzione, a seguito dell’approvazione in parlamento della modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione approvata da Camera e Senato con due deliberazioni ciascuna, a distanza di tempo l’una dall’altra, dal 7 febbraio all’8 ottobre 2019, con maggioranze quasi sempre superiori alla metà dei componenti delle assemblee, e quasi all’unanimità in seconda votazione dalla Camera l’8 ottobre 2019 che su 567 votanti, 553 sono stati i  favorevoli (il 97,5%), ben più dei due terzi richiesti e con 14 contrari e 2 astenuti.

La campagna elettorale che ha fronteggiato il sì e il no, non ha fatto cogliere pienamente le motivazioni di questa riforma costituzionale. Il sì e il no si sono confrontati ma spesso le tesi a favore del sì non sono state sostenute da dati reali e verificabili come ad esempio che il parlamento con un numero ridotto di parlamentari possa funzionare meglio. Sia chiaro. Gli obiettivi di questa riforma non sono mai stati quelli di avere un Parlamento più rappresentativo ma solo meno costoso. È chiaro che si è voluto diminuire il ruolo della democrazia rappresentativa e con un Parlamento ridotto l’obiettivo è stato raggiunto. Con il sì, ora avremo 200 senatori ma 4 verranno eletti all’estero e 400 saranno i deputati con 8 eletti all’estero. Al Senato da 315 eleggeremo 196 senatori e alla Camera da 618 eleggeremo 392 deputati. Si tenga conto che la ripartizione dei seggi tra i collegi elettorali si effettua dividendo il numero degli abitanti, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione per 196 al Senato e 392 alla Camera e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni collegio, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti (comma 2 art. 2 della legge costituzionale pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n.240 del 12 ottobre 2019).

In base all’ultimo censimento siamo circa 60 milioni. Quindi per eleggere un senatore, 60 milioni diviso 196 il collegio sarà formato da non meno di 300mila abitanti, per eleggere un deputato, 60 milioni diviso 392 il collegio sarà formato da 150mila abitanti. Prima della riforma i collegi per il Senato erano formati da circa 150mila abitanti e 96mila circa per la Camera.  Al momento per una nuova legge elettorale non c’è accordo tra le forze politiche che fanno parte della maggioranza che in Parlamento sostengono l’attuale governo nonostante che il taglio dei parlamentari è entrato in Costituzione. Di sicuro c’è, che con questa riforma, i cittadini con i loro rappresentanti in Parlamento dalla prossima legislatura perderanno di peso alla livello politico e di conseguenza anche a livello socio-economico perché come abbiamo visto un parlamentare rappresenterà una parte di popolazione maggiore e sarà più complicato coglierne le aspettative e, di fatto, le minoranze saranno meno rappresentate mentre al Senato alcune Regioni più piccole verranno penalizzate rispetto al numero dei rappresentanti.

Al di là delle opinioni politiche schierate per il sì e per il no durante la campagna referendaria, di fatto la democrazia rappresentativa in Parlamento si avvia ad essere ridotta e avrà conseguenze per la partecipazione dei cittadini attraverso i suoi rappresentanti in funzione della determinazione della politica nazionale perché il parlamento, organo elettivo, lavorando obiettivamente con una velocità ridotta di approvazione delle leggi e quant’altro, in quanto il numero dei parlamentari è diminuito non sarà più il motore ordinario delle decisioni almeno in tempo reale rispetto a eventi e fenomeni sociopolitici nonché economici. Quindi per il comma 2 dell’art.1 della Costituzione che afferma: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» non si comprende quale sovranità corrente sarà possibile registrare se il popolo non sarà più adeguatamente rappresentato in Parlamento? L’interrogativo è d’obbligo, e anche se è stato ignorato dovrà avere risposte.

Si tenga conto che la popolazione in Italia non è diminuita ma è aumentata e il numero dei parlamentari doveva aumentare e non diminuire, o almeno non soltanto. C’è stata al riguardo di questo tema una sottovalutazione, complice i vari fenomeni di antipolitica che da alcuni anni hanno rilanciato ondate di odio contro la casta identificandola in prevalenza con i parlamentari e vedendo nel taglio di essi un modo per colpirla.

Si tenga conto che oltre al Parlamento, che obiettivamente avrà maggiori difficoltà ad espletare le sue funzioni, aumenteranno di peso altre assemblee non elettive e non riconosciute dalla Costituzione come quella della “Conferenza Stato-Regioni” che è un organo collegiale finalizzato alla collaborazione istituzionale tra lo Stato e le autonomie locali e non un organo decisionale e non a caso si parla di cambiare l’art. 70 della Costituzione: “La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Altra riforma costituzionale di cui si parla è quella del monocameralismo e al riguardo ci potrebbero essere ancora tagli di parlamentari.

Copyright©2020 Il Graffio, riproduzione riservata