Vincent Lambert, la Cassazione dice stop alle cure

di GIUSEPPE FEDELI* –

Per l’ennesima volta Vincent Lambert è stato di fatto condannato a morire di fame e di sete, con la particolarità che ieri a pronunciarsi è stata la più alta corte francese, attraverso una sentenza «senza rinvio» ad altra giurisdizione. In pratica, una decisione definitiva, anche se non è possibile escludere altri colpi di scena, visto che gli avvocati dei genitori di Vincent hanno annunciato che la battaglia continua. Il principale argomento usato dalla Cassazione per annullare la provvidenziale sentenza emessa il 20 maggio dalla Corte d’Appello è che il diritto alla vita non rientra nel campo della libertà personale. Senza vita non ha nemmeno senso parlare di libertà, che tra l’altro è negata con il rifiutare ai genitori di poter trasferire il figlio per proseguirne le cure. Eppure la Cassazione, riunita in seduta plenaria, ha proprio sentenziato che «solo la privazione della libertà può essere descritta come un attacco alla libertà individuale (custodia della polizia, detenzione, ricovero senza consenso); il diritto alla vita non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 66. Di conseguenza, il rifiuto dello Stato di ordinare il mantenimento delle cure vitali fornite a Lambert non costituisce una violazione della libertà individuale».

La sentenza afferma poi che «rifiutando di ordinare il mantenimento delle cure richiesto dal Comitato dell’Onu, lo Stato non ha preso una decisione che va in modo manifesto al di là dei poteri che gli appartengono», per concludere che non vi è l’«atto illegittimo» lamentato dalla Corte d’Appello, la quale «non è quindi competente in questo caso». Competenza che invece spetterebbe, secondo la Cassazione, esclusivamente alla giustizia amministrativa: vale in breve l’ultima decisione del Consiglio di Stato, che aveva dato il via libera all’ospedale universitario di Reims per l’interruzione delle cure di base. Ormai il decadimento dei principi e dei valori è verità di fatto. È stato escluso che la vita possa essere annoverata tra i diritti fondamentali.  Un argomento che produce il rumore secco di un pugno alla ragione, essendo il diritto alla vita fondamento- è superfluo dirlo- fondamento di tutti gli altri.

Perché l’Alta Corte francese non ha detto senza mediazioni che i disabili non sono omogenei al sistema, basato sull’efficientismo, e pertanto vanno gettati dalla rupe tarpea? Sarebbe stata meno ipocrita, non ci sarebbe stato tanto bisogno di menzogne legalizzate tanto ignominiose. La certezza del diritto è diventata una locuzione stantia, fuori moda: non esiste più nemmeno il presidio di una elaborazione giurisprudenziale, a tutelare le persone deboli, emarginate, che la vita spesso abbandona in un cantuccio, senza pietà né redenzione. Portatrici di uno stigma sociale che non è pari alla luce che emanano, che i più fanno finta di non vedere perché ne rimarrebbero accecati. Chi ci salverà se non un Dio? Forse un’insurrezione delle coscienze, che tuttavia io percepisco molto di là dal campo visivo, della ottusa miopia di una società. Essa sì, malata: di più, marcia.

*Giuseppe Fedeli – Avvocato, Giudice di Pace di Fermo

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