di REDAZIONE –
MONTEPRANDONE – Venerdì 22 febbraio la compagnia Progettoteatro di Monteprandone va in scena all’Auditorium Centro Pacetti con un nuovo spettacolo: “I giganti della montagna” di Luigi Pirandello che si inserisce nella IV rassegna teatrale organizzata dalla compagnia “Anime sul palco”. Sull’onda emozionale della pièce proposta lo scorso anno, “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, la compagnia ha voluto proseguire nel suo lavoro di “intima” ricerca sul testo e sottotesto portando in scena l’ultimo scritto di Pirandello, un’opera che, per tutta la sua durata, tiene lo spettatore sospeso tra realtà e fantasia, tra sogno e magia con un finale rimasto incompiuto a causa della morte del suo autore, pertanto aperto a qualsiasi interpretazione.
Ancora una volta la scelta registica del maestro Tonino Simonetti è stata quella di prediligere la poesia del testo, dando carne e sentimento a personaggi che migrano dalla pagina scritta al palcoscenico con il loro carico di dolore, di rabbia, di turbamento, di delusione, ma con quella estrema soavità che solo la poesia sa dare. Ancora una volta si è dato voce agli “ultimi”: gli Scalognati e la maga Cotrone, strani abitanti di una villa apparentemente abbandonata dove giunge una compagnia di poveri e scalcagnati attori girovaghi, guidati dalla contessa Ilse, per rappresentare il loro dramma “La favola del figlio cambiato” (opera dello stesso Pirandello).
La villa è un luogo surreale sospeso tra magia, sogno e realtà: “Siamo qua come agli orli della vita, Contessa. Gli orli, a un comando, si distaccano; entra l’invisibile: vaporano i fantasmi. E’ cosa naturale. Ciò che di solito nel sogno, io lo faccio avvenire anche nella veglia. I sogni, la musica, la preghiera, l’amore… tutto l’infinito ch’è negli uomini, lei lo troverà dentro e intorno a questa villa.”, nelle parole di Cotrone. E nelle intenzioni della compagnia Progettoteatro che ha lavorato duramente e ancora lo fa con tanta umiltà, nella consapevolezza di non essere professionisti del mestiere ma di amare il Teatro come pochi professionisti sanno fare.
Di seguito riportiamo le note di regia del maestro Tonino Simonetti
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
L’arrivo della “Compagnia della Contessa” in un vecchio teatro, dove la Maga Cotrone e i suoi “scalognati” hanno scelto di vivere per isolarsi dalla “civiltà”, è l’incontro fra due universi uguali e contrari. La Compagnia, fedele all’idea di Poesia assoluta, si è ormai ridotta in miseria: nessuno, nel mondo, sembra più disposto ad ascoltare e comprendere. Ma ecco che arrivati in un teatro ormai in disuso, come in un sogno, ciò che i teatranti cercano strenuamente sembra manifestarsi in quel luogo prodigioso: in un gioco fantastico di apparizioni e trasfigurazioni, di doppi e di identità rubate, il teatro e i suoi abitanti evocano e materializzano i personaggi, le scene, le atmosfere de La favola del figlio cambiato, l’opera che i poveri attori cercano di rappresentare senza più riuscirci. Cotrone invita i suoi ospiti a rimanere, per creare insieme nuovi e favolosi incanti dei quali potranno godere lì dentro, solo per loro, ma la Contessa Ilse non può accettare di chiudersi tra quelle mura. La sua missione è di portare e far vivere la Poesia tra la gente, e decide quindi di affrontare il confronto con la realtà, a costo della sua stessa vita. Il finale dell’opera – mai scritto – fu sognato e raccontato da Pirandello al figlio Stefano dopo una notte molto agitata, e non sarà rappresentato. Nel nostro allestimento il personaggio di Ilse, che incarna l’idea di purezza e necessità del Teatro, ha un volto che continuamente si sdoppia. Sparisce e riappare inaspettatamente, cambia timbro e intonazione della voce. É forse Cotrone, detta la Maga – che ha conoscenza e pratica di virtù esoteriche – a ispirarne l’umore, a governare il suo essere, a decidere il suo apparire? É lei che evoca il suo doppio e la fa rispecchiare in se stessa? O è la forza della nostra immaginazione? Ilse è il Teatro. Deve vivere tra la gente, rischiare, offrirsi, inerme e vulnerabile, anche a un pubblico che forse non capirà il suo messaggio. Vogliamo che la nostra Ilse ci lasci in dono il Teatro che non muore, come l’olivo saraceno che Pirandello sognò e descrisse al figlio prima di morire, quell’olivo che doveva rimanere al centro della scena, a rappresentare e contenere il passato, il presente e il futuro.
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