L’orsa Kvitka, dall’inferno alla libertà. Una storia a lieto fine

di ROSITA SPINOZZI-  

Arriva dall’Ucraina ed è una storia di agghiacciante crudeltà sugli animali che, per fortuna, si è conclusa a lieto fine. Dopo otto, lunghi anni che saranno di certo sembrati un tempo infinito alla povera orsa Kvitka, catturata da cucciola e costretta a vivere in una gabbia talmente stretta dove a malapena riusciva a muoversi. Ma la crudeltà, in questo caso, non consisteva “soltanto” nella prigionia – che è già di per sé disumana in quanto ogni animale ha il sacrosanto diritto di vivere libero nel suo habitat naturale – bensì nell’orribile pratica per cui veniva utilizzata. A Kvitka, infatti, era consentito uscire dalla sua gabbia soltanto per cimentarsi in combattimenti impari con una muta di cani inferociti e appositamente addestrati per attaccarla mentre lei era legata ad un palo, quindi impossibilitata a difendersi in alcun modo. È questa la sadica e aberrante pratica del bear-baiting (tormento dell’orso), diffusa in Ucraina anche se illegale dal 2015.

È facile immaginare la disperazione di Kvitka, il cui sguardo ancora oggi porta i segni della sofferenza e della paura patite per mano di aguzzini che non meritano neanche di essere definiti uomini, perché l’umanità è tutt’altra cosa. L’orsa ha vissuto il suo calvario in un piccolo villaggio rurale dell’ovest, a 300 chilometri da Kiev, ed è stata salvata durante l’estate dai volontari dell’associazione animalista Four Paws International. Un salvataggio sul filo di lana, visto che il suo proprietario stava già prendendo accordi per cederla ad un nuovo aguzzino che l’avrebbe sottoposta ad altre  violenze. Dicono che era disperata al punto tale da avere gravemente lesionato denti e gengive nel vano tentativo di mordere le sbarre, sperando così di riconquistare la libertà.

La pratica del bear-baiting è una barbarie. Oserei dire una perversione, perché soltanto una persona sadica può provare una benchè minima emozione, che non sia orrore, nel vedere un gruppo di cani azzannare un povero orso indifeso e legato ad un palo. Chi ha salvato Kvitka ha dichiarato che i suoi occhi erano spenti e privi di ogni motivazione che la legassero alla vita. Una vita che per lei era stata solo inferno. Denutrita, ferita, e terrorizzata anche dal solo abbaiare di un cane, l’orsa adesso è sottoposta soltanto a costanti e amorevoli cure che le consentiranno di ristabilirsi. A preoccupare in modo particolare sono le condizioni della sua dentatura: aveva delle infiammazioni e dei nervi scoperti per aver masticato le sbarre della sua cella. Una volta guarita del tutto, sarà liberata in una riserva.

Adesso Kvitka ha uno scopo per vivere, e magari tornerà a guardare il mondo con occhi diversi. Magari con quelli innocenti di un bambino, gli stessi che aveva lei quando è stata catturata. Perché gli animali avranno pure un aspetto diverso dal nostro, ma lo sguardo no. I loro occhi, spesso e volentieri, sono più umani e veritieri dei nostri. E raccontano molte storie che noi  non possiamo e non dobbiamo ignorare.

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