Scienza e coscienza: la lectio di Massimo Cacciari a “Piceno d’Autore”

di ALCEO LUCIDI –

MONTEPRANDONE –  Giunta ormai al termine, la rassegna culturale “Piceno d’Autore” non smette di stupire. É la folla delle grande occasioni – forse mai vista in simili proporzioni come commenta Mimmo Minuto – quella che ha accolto ieri il filosofo, commentatore di fatti politici e polemista Massimo Cacciari, in Piazza dell’Aquila a Monteprandone. Il tema conduttore dei cinque incontri è stato riproposto anche dall’ex-sindaco di Venezia, professore emerito presso l’Università San Raffaele di Milano, che ne ha dato una sommaria, seppure ragionata ed articolata, spiegazione. Di fronte agli interrogativi mossi dal presentatore della serata, l’avv. Silvio Venieri, sullo statuto epistemologico della scienza, sul suo impatto nelle nostre vite, sulla eterogenesi o filogenesi dei propri fini, sull’immanenza della coscienza (come determinazione morale) rispetto alla scienza, l’intellettuale veneziano ha tratteggiato delle linee di comprensione storico-filosofiche per un argomento che attanaglia il pensiero occidentale – dice lo stesso Cacciari – “da oltre tre secoli”. Premettendo che la scienza ha una via di comprensione dei fenomeni autonoma, “che sta sopra il suo oggetto”, essendo “una conoscenza ferma, stabile della realtà” nel suo complesso, essa pretende di andare all’essenza delle cose per dimostrale (atteggiamento scientifico tipico della nostra epoca e civiltà occidentale).

Se la scienza, al tempo dei Greci, era pura facoltà speculativa, esercizio teorico, costruzione analitica astratta, oggi essa non può dirsi (o chiamarsi) fuori dal contesto storico, politico, civile che la inquadra (insomma dal vivere quotidiano della polis). Pur distinguendo tra un preciso linguaggio logico-deduttivo e tecnico-scientifico, per cui tutto è “valutato e mediato tramite il ragionamento”, tipico della scienza in quanto tale e sua categoria universale ed un altro più propriamente “politico”, in quanto legato alla mutevolezza delle comunità, sempre evolventesi, in movimento, e non visitabili in base a modelli teoretici od epistemologici, Cacciari indica un punto di contatto tra scienza e coscienza, tra reale e rappresentazione del reale, tra conoscenza e potere. Insomma – avverte il filosofo, portandoci al cuore del discorso sviluppato – la scienza deve avere coscienza di sé, consapevolezza di limiti e mezzi, pur nella ricerca assoluta (da ab-solutus: sciolto da vincoli) della verità, mentre la politica – intendendo con questo termine il governo della civile convivenza nel senso più ampio –, pur non perseguendo l’essere (cioè che è indubitabile, non in divenire, continuamente dimostrabile) ma il dover essere, è tenuta ad agire responsabilmente e quindi con raziocinio.

Non si dà razionalizzazione scientifica senza il suo contesto antropologico-culturale di riferimento e politica senza una sistemazione ragionata di una progettualità continua (Aristotele). Anzi, “senza una razionalità (anche se non scientifica)” il discorso politico rischia di scadere “in una sconfitta per la civiltà”, riducendosi a demagogia e captazione del consenso, trasformando le nostre città in formicai anziché alveari.

I cammini della scienza (in quanto scientiam facere, ovvero una scienza che si fa, che si lega ad una rete di rapporti umani e non li trascende) e della politica, dunque, non si confondono ma si intersecano, non risultano distinti anche se certamente separati. Da questo la politica deve apprendere, definitivamente, se intende sopravvivere, come forma di intermediazione tra istituzioni pubbliche e cittadini, che oggi la scienza è “la massima potenza del mondo contemporaneo” e che, senza adeguati contrappesi culturali, è destinata a degenerare in processo bulemico di innovazione tecnica mossa solo da interessi squisitamente finanziari.

Nella pulizia e linearità del suo ragionamento, il prof. Cacciari, da applaudito e consumato oratore, senza alcune pretesa di esaurimento di senso dei percorsi interpretativi tracciati, ha voluto farci comprendere che dietro ogni buon scienziato c’è un buon abitatore del sapere umanistico, della casa della letteratura e della filosofia come luoghi di formazione dei sentimenti e del pensiero (Umberto Galimberti).

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