In carcere per un racconto

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

É appena trascorso il 25 aprile e chissà se abbiamo dedicato qualche minuto a riflettere su quanto siano importanti e preziose la libertà di pensiero, di parola, di opinione, di critica. Vorrei raccontarvi cosa succede a chi non ne ha. Golrokh Ebrahimi Iraee è una scrittrice iraniana. É detenuta a Teheran in condizioni deplorevoli, picchiata e maltrattata e dal 3 febbraio di quest’anno ha iniziato lo sciopero della fame. Dal 20 aprile sappiamo che è in coma. Perché tutto questo?

Nel 2014 la polizia segreta iraniana le piomba in casa senza nessun mandato e con una violenza tale che sua suocera ha un infarto; frugano ovunque, sequestrano il computer, cd, documenti e un taccuino di appunti che contiene un racconto inedito, la storia di una giovane che, dopo aver assistito alla proiezione del documentario ‘La lapidazione di Soraya M.’, è talmente sconvolta che brucia per rabbia la sua copia del Corano. É un’opera di fantasia, ma di fatto denuncia la vergogna della pratica della lapidazione in Iran. Scatta l’arresto per la scrittrice e suo marito, Arash Sadeghi.

La donna viene rinchiusa in isolamento e interrogata per giorni bendata, col viso rivolto al muro, costretta a sentire le grida disperate di dolore del marito, che nella stanza accanto viene torturato. La Corte Rivoluzionaria accusa la scrittrice di insulto all’Islam e diffusione di propaganda contro il sistema, praticamente non le concede diritto di difendersi (le revoca l’avvocato) e la condanna a sei anni di reclusione.

Sembra una follia, perché nel nostro Paese la libertà di pensiero e di parola sono diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione e ce ne dimentichiamo, perché diamo per scontato che possiamo esprimerci, criticare, persino giudicare negativamente ciò che delle istituzioni non ci piace. Gli appunti su un taccuino equivalgono ai propri pensieri, dunque Golrokh Ebrahimi Iraee sta scontando sei anni di carcere per aver pensato. Ma se in un Paese non c’è libertà, allora non si può denunciare ciò che si ritiene ingiusto, non è concesso di pensarla diversamente. Perché le parole spaventano più delle armi.

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