La cicala, da frivola a messaggera delle Muse

di AMERICO MARCONI –

Nel caldo di questo periodo risalta dalle colline al mare il frinire delle cicale. Potremmo definirlo il sotto fondo musicale dei nostri sonni pomeridiani. Una cicala vive un’estate nutrendosi della linfa delle piante, ama in particolare la linfa resinosa e profumata dei pini. Si accoppia, deposita sotto terra le sue uova che si schiuderanno dopo anni. E nel frattempo canta con tutta la forza che ha nel suo piccolo corpo facendo vibrare delle membrane, paragonabili a un tamburo.

Di solito la cicala e il suo frinire si associano ad una vita frivola, ad una persona che vive spensierata alla giornata senza preoccupazioni per il futuro. È il retaggio della favola di Esopo scritta intorno al VI secolo a.C. La cicala non si preoccupa del giorno che verrà e soccomberà al freddo mentre la provvida formica che sempre ha lavorato, ammucchiando provviste nella tana, riuscirà a sopravvivere ai rigori dell’inverno. La morale della fiaba, giunta fino ai nostri giorni, è una lode al parsimonioso, che tanto lavora e poco spende. E una critica a chi poco ha e quel che ha se lo consuma tra balli, canti e lussi. Ma attenzione il povero Esopo era uno schiavo e non poteva che deridere i ricchi crapuloni e gaudenti.

Due secoli più tardi rispetto ad Esopo, sempre in Grecia, il filosofo Platone nel suo dialogo Fedro (258) racconta il mito delle cicale. Socrate parla al giovane Fedro: «Mi sembra che in questa soffocante calura le cicale, sopra le nostre teste, cantando e discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se vedessero che anche noi due, come la maggior parte della gente a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo lasciandoci incantare da loro, ci deriderebbero giustamente. Come fossimo delle pecore che trascorrono il meriggio presso una fonte. Invece, se ci vedono discorrere e navigare, passando davanti alle Sirene non ammaliati, forse ci ammireranno e ci daranno quel dono che gli dèi possono fare agli uomini»

E Fedro: «Qual è questo premio? Non ne ho sentito mai parlare.» Socrate spiega:« Si dice che le cicale un tempo fossero uomini che vissero prima che nascessero le Muse. Ma una volta che nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di loro, furono colpiti dal piacere del canto al tal punto che, continuando a cantare, trascuravano cibi e bevande e morivano. Da loro nacque, per questo, la stirpe delle cicale che dalle Muse ricevette il dono di non aver bisogno di cibo fin dalla nascita. E di cominciare subito a cantare fino alla morte. Dopo la morte di andare dalle Muse ad annunciare chi degli uomini le onori. Alla più anziana, Calliope, e alla più giovane, Urania,  portano notizia di quelli che trascorrono la vita nella filosofia e rendono onore alla musica. Sono queste che, più di tutte le Muse, avendo cura del cielo e dei discorsi divini ed umani, mandano un bellissimo suono di voce. Dunque, per molte ragioni, nel mezzogiorno bisogna parlare e non dormire».

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