Intervista a Federico Baccomo: “Che cosa c’è da ridere”, un romanzo fra dramma e comicità

di ELIANA NARCISI (ELIANA ENNE) –

Federico Baccomo è senza dubbio una delle penne più interessanti e originali della narrativa italiana, riesce a raccontare le vicende di uomini deboli, in crisi, le loro miserie umane, portando il lettore a viverli invece come straordinariamente forti. “Che cosa c’è da ridere” è un romanzo in cui ricostruzione storica e finzione letteraria sono mescolate sapientemente, la drammaticità degli eventi è resa sopportabile grazie a un’arguta ironia che funge da luce in fondo al tunnel e consente di sperare nell’unica via che può condurre fuori da un contesto di morte: la fame di vita. Protagonista è Erich, un giovanissimo aspirante comico ebreo che insegue due grandi sogni: l’amore per Anita e far ridere il suo pubblico.

Da dove nasce l’idea di raccontare un passato storico tanto drammatico da un punto di vista così particolare?
Anni fa avevo avuto l’idea di raccontare la storia di un comico che, per avere salva la vita nei campi di concentramento, mette in scena uno spettacolo per far ridere i suoi stessi aguzzini. Però l’avevo messa subito da parte, pensavo ci dovesse essere un limite all’immaginazione che si può utilizzare per raccontare la storia. Invece leggendo le “Lettere” di Etty Hillesum scritte dal campo di Westerbrock l’autrice racconta di una vergogna che il suo popolo deve provare per almeno tre secoli: una serie di spettacoli, balli, canti, messi in scena dai prigionieri ebrei nel campo per il sollazzo dei carnefici. Quando ho visto che era successo davvero quello che pensavo fosse solo una mia folle idea, ho avuto voglia di approfondire le ricerche, ho impiegato quasi due anni per documentarmi e alla fine quell’idea ha preso corpo nel personaggio di Erich, un ragazzo a cui il mondo vuole togliere ogni tipo di posto è che invece lotta per conquistarselo.

Il difficile rapporto tra Erich e suo padre fa da sfondo a tutta la narrazione e offre spunti di riflessione, dal senso di colpa alla voglia di riscatto, dalla ricerca dell’amore a quella della propria identità. Perché Rudolf è così duro col figlio?
Quando Erich viene al mondo, sua madre muore di parto e il padre gliene fa una colpa. Lo chiama piccolo assassino. Il bambino cresce in una casa in cui l’unica emozione quotidiana è la malinconia e pensa sia l’unica maniera di vivere. Quando poi da ragazzo assiste per caso a uno spettacolo di cabaret, scopre il potere della risata. Sapere che si può portare gioia nella vita degli altri facendoli ridere e ricevendo in cambio amore per questo gli spalancherà finalmente le porte della vita.

Nella vita di Erich arriva improvviso anche l’amore per la bella Anita, che incontra, insegue, perde e ritrova mille volte. Quanto è importante l’amore in questo romanzo?
Direi fondamentale. Erich in realtà riesce a ridere soltanto dopo che ha scoperto l’amore. Vede una fotografia di Anita e lo colpisce qualcosa che va oltre la sua bellezza e che spezza ogni sua difesa. È una ballerina, Erich va a cercarla nel locale in cui si esibisce e sarà proprio la sera in cui scoprirà il potere della risata assistendo allo spettacolo di cabaret del Magnifico Walter. Finalmente comprenderà qual è il suo posto nel mondo: conquistare l’amore di Anita che è come un raggio di sole nel buio della sua esistenza, conquistare l’amore del pubblico facendolo ridere.

Il segreto per far ridere è ingannare il pubblico e poi svelargli l’inganno, spiega il Magnifico Walter al giovane aspirante comico, ma prima devi imparare a guardare il mondo con gli occhi spalancati. Che cosa vuol dire?
Il comico osserva la realtà con completezza, non si fida della sola prima impressione. Quando fa una battuta su una cosa, su una persona, su un certo argomento, cerca di rivelarci qualcosa di cui non ci siamo accorti. La risata viene proprio da quella sua osservazione acuta, ogni volta che ci troveremo a parlare di quel dato argomento non potremo fare a meno di ripensare anche alla sua battuta. Questa è una delle ragioni per cui il potere odia la satira.

C’è un modo diverso tra padre e figlio di vivere la propria identità di ebreo?
Sì, anche perché entrambi si sentono tedeschi prima ancora che ebrei e quando vengono strappati dalla loro patria si sentono persi. Trovare una distinzione tra il tedesco e l’ebreo è qualcosa che non riescono a capire e ad accettare. Per Erich è legata allo sguardo che ha sul mondo, è un comico e può far ridere chi è cresciuto nel suo stesso contesto. Per il padre è diverso, lui non capisce perché deve lasciare i luoghi in cui ha vissuto e si è costruito l’esistenza, ecco perché quando fuggirà in Olanda si troverà smarrito.

Raccontare la storia può essere utile per evitare di ripete gli stessi errori e orrori?
Ho sempre creduto in questo. È fondamentale tenere memoria di quello che è successo, non solo per commemorare le vittime ma soprattutto per averne coscienza ed evitare che la storia si ripeta. Ciò che ieri è toccato ad altri domani può toccare a noi, così come ciò che ieri hanno fatto agli ebrei domani potremmo farlo noi ad altri popoli. Domani potremmo diventare noi i carnefici.

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