La M sulla fronte dei gatti e il piccolo Gesù

Uno splendido esemplare di gatto soriano tigrato rosso

di AMERICO MARCONI –

Se osserviamo la fronte dei gatti soriani tigrati si notano delle strisce di pelo che disegnano una grossa M. Una leggenda narra che, nella notte di Natale, Maria volle ringraziare un gatto per il prezioso aiuto dato e gli lasciò incisa sulla parte anteriore della testa l’iniziale del suo nome. Questo perché il neonato Gesù nella mangiatoia, nonostante fosse scaldato dal fiato del bue e dell’asino, sentiva freddo. La Vergine provò ad addormentarlo cantando una ninna nanna ma Gesù tremava per il gelo. Un gatto – forse una gatta – lasciò i sui gattini e andò a stringersi vicino a lui nella mangiatoia. Riuscendo a farlo scaldare e addormentare con il tepore della sua folta pelliccia. Maria per esprimere la sua riconoscenza disegnò con le dita della sua mano una M sulla fronte della bestiola. E questa M poi fu stata trasmessa nei secoli a tutti i suoi discendenti.

Mi sono chiesto se la leggenda avesse un minimo fondamento dottrinale. Nei Vangeli canonici solo Luca, narra che a Betlemme Maria diede alla luce il suo figlio primogenito. Appena nato lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c’era spazio in albergo. Degli animali nemmeno un cenno. Tra i Vangeli apocrifi (nascosti, segreti) spicca il Vangelo di Gesù (o dei Dodici Santi o della Vita Perfetta) in cui Gesù appare circondato dagli animali fin dalla nascita. Ma seguiamo il racconto: «Il Bambino venne alla luce in una grotta dove fu avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Nella grotta c’erano un bue, un cavallo, un asino, una pecora e accanto alla mangiatoia c’era un gatto con i suoi piccoli; sopra di loro delle colombe. Così Gesù nacque in mezzo agli animali, poiché venne per redimere anche essi dalle loro sofferenze. Proprio come era venuto per liberare gli uomini dalla loro ignoranza e dal loro egoismo».

In questo Vangelo apocrifo Gesù fin da giovane apprese il linguaggio degli uccelli e degli animali, di cui capiva felicità e tristezza, salute e malattia. Infatti guarì un cavallo ferito e liberò un cammello oppresso da un enorme carico. Aveva un debole per i passeri che plasmava nella creta e faceva volare, oltre a liberarli se catturati con lacci. Una volta, giunto in un villaggio, vide un gattino randagio che soffriva la fame e lo implorava miagolando. Lo raccolse da terra, l’avvolse nel  mantello e lo fece riposare sul suo petto. Poi gli diede da mangiare e da bere. E lo affidò a Lorenza, una delle sue discepole, che se ne prese cura.

A tutti quelli che gli chiedevano perché avesse tanto a cuore la sorte degli animali, anche selvatici e pericolosi – ma con lui mansueti – come leoni e lupi, rispondeva: «Hanno lo stesso soffio di vita dell’Eterno». È suggestivo pensare che il gatto nella grotta dell’inizio balzò nella mangiatoia, e stette vicino al neonato per riscaldarlo. Aveva intuito, con una sensibilità che solo i felini hanno, chi fosse quel Bimbo; quanto calore e luce avrebbe restituito. Poi venne la M, il dono di Maria.

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