“Easy Reader”, decollano le edizioni ad alta leggibilità proposte dalla Mauna Kea

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Recentemente, l’editore Mauna Kea ha inserito in catalogo la collana Easy Reader, ovvero le edizioni ad alta leggibilità rivolta a chi ha una ridotta capacità visiva e, in generale, a tutti coloro che preferiscono caratteri grandi con ampia interlinea, pubblicando alcuni grandi classici. Mauna Kea è un editore giovane, fortemente orientato all’etica. Perfettamente plausibile, pertanto, aver pensato ad una collana che riproponga classici intramontabili ad una categoria svantaggiata alla lettura come gli ipovedenti. La collana, nata in questo anno, nonostante sia un periodo non facile per l’editoria, ha già pubblicato quattro capolavori italiani: “Le mie prigioni” di Silvio Pellico, “Le avventure” di Pinocchio di Carlo Collodi, entrambe con una prefazione del sottoscritto, “Il Ventre di Napoli” di Matilde Serao con prefazione curata da Fania Pozielli, “Uno, Nessuno e Centomila” di Luigi Pirandello con prefazione curata da Paolo Montanari.

Cosa hanno in comune “Le avventure di Pinocchio” e “Le mie prigioni”, così diversi e apparentemente lontani? A parte la prefazione che ha in entrambi i testi lo stesso curatore, in comune c’è il contesto storico, quell’Impero austriaco fortemente presente e condizionante. Entrambi gli autori, Carlo Lorenzini (Collodi) e Silvio Pellico, pur con vite diversissime per storia personale e per scelte, con personalità incomparabili e caratteri inconciliabili se mai si fossero conosciuti (cosa non avvenuta anche perché non appartenenti alla stessa generazione, né alla stessa area geografica) in qualche modo hanno in comune l’aver affrontato i rigori e l’ostilità dell’impero, le sue leggi ferree, le censure, lo sguardo lungo su tutto e tutti. Collodi partecipò ad entrambe le guerre di indipendenza, ricavandone però molta delusione. Quelli che erano i suoi ideali patriottici e di libertà (soprattutto di espressione), li sentì in qualche modo traditi. Lui, mazziniano convinto, scrisse: “Tutto è favola in questo mondo, tutto è invenzione, dall’idea di Mazzini all’Ippogrifo dell’Ariosto… Che il cielo mi perdoni, ma l’anarchia regna nello Zodiaco…”

E in quell’anarchia, così come la vedeva, creò il suo modo di essere scrittore: ironico, beffardo, iperbolico, allusivo, satirico tra le righe, un po’ indolente. Inventando Pinocchio, creò anche la rappresentazione di una società fortemente ingiusta e ingrata, dove la perfidia e la disonestà hanno percorsi privilegiati, con una certa surrealtà. Noi, ormai adulti da un po’ che avevamo letto “Le avventure di Pinocchio” da ragazzi, ricordiamo una specie di monello scansafatiche, disobbediente che se le va a cercare. Ma il burattino va visto anche con altri occhi. Pinocchio è in fondo una sorta di antieroe che in quella società, cinica e talvolta perversa, piena di affabulatori, burocrati e lestofanti, cerca una via di verità, pur senza avvedersene. La disobbedienza è rivolta non tanto a persone a lui care che in cuor suo non tradirà mai, quanto a quella morale rigida, ingabbiatrice, perbenista che a Carlo Lorenzini proprio non piaceva.

Silvio Pellico, a suo modo patriota, appartenente alla Carboneria, grande amico di Pietro Maroncelli, finì nelle galere austriache insieme a lui quando vennero scoperti, processati e condannati. Dapprima a morte, poi a carcere durissimo e infine graziati dopo 10 anni di inferno. Per capire il libro, occorre immergersi nella condizione carceraria: giacigli di pietra, semibuio permanente, freddo e umidità, poco spazio, scarso cibo, malattie malcurate. Pochi sopravvivevano, pochi mantenevano la lucidità mentale. Eppure, Silvio il rivoluzionario, il Pellico che aveva militato nella società segreta della Carboneria che avrebbe dovuto sovvertire l’ordine politico imposto dall’Impero austriaco, non scrive un libro avvelenato e accusatore. Scrive le memorie di quegli anni raccontando frammenti di storie di vita di altri prigionieri e di alcuni carcerieri. Pur non nascondendo la durezza, l’asprezza, il dolore e la fatica, si preoccupa solo di rintracciare l’umanità, esaltando il senso profondo del bene quando visibile. Silvio Pellico trovò nella condizione carceraria una via alla salvezza interiore, un’alta espressione di fede. Eppure, pur senza volerlo, il suo libro fu utile alla causa patriottica più di una rivolta, più di ogni cospirazione. Segnò l’inizio di un cambiamento.

Entrambi, sono stati i libri più stampati, tradotti e letti nel loro secolo e giungono a noi mantenendo una forza espressiva e comunicativa che resta intatta e che molto trasmette perché attingono al vissuto, ai sentimenti profondi, al senso della vita. A breve l’editore inserirà altri titoli nella collana Easy Reader, attingendo ancora ai capolavori e ai classici.

Copyright©2020 Il Graffio, riproduzione riservata