Grottammare, in 7.000 collegati sul web per il “Meeting nazionale giornalisti cattolici e non”

di REDAZIONE –

Dibattito vivo ed interessante tra: Chiesa, Società, Gionalismo ed Economia. Filo conduttore dell’incontro: “In dialogo tra paura e speranza. La vita si fa storia” –

GROTTAMMARE – La settima edizione del “Meeting nazionale giornalisti cattolici e non”, svoltosi in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, ha coinvolto migliaia di persone collegate in rete attraverso il sito ufficiale giornalistioggi.it,  il canale YouTube e la pagina Facebook Tele Padre Pio TV (per la registrazione completa, clicca qui). Sponsor ufficiale “L’Editrice Shalom”. Filo conduttore del pomeriggio: “In dialogo tra paura e speranza. La vita si fa storia”. Sono state circa 7.000 le persone che si sono connesse nei vari momenti del pomeriggio durante i quali si è parlato della professione giornalistica e della comunicazione in tempo di pandemia.

La città di Grottammare, che nelle passate edizioni ha ospitato con generosità fino a 200 operatori della comunicazione nazionale, quest’anno si è resa presente con un video promozionale, realizzato da Mauro Piergallini, nel quale commercianti e imprenditori, da sempre sostenitori dell’evento, hanno declamato alcuni versi della poesia “Lu paese mi” di Pio Ottaviani. Tutti i partecipanti hanno ricevuto i saluti del Vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto, Mons. Carlo Bresciani, del Vescovo della Diocesi di Ascoli Piceno, Mons. Giovanni DErcole, del Direttore del SIR, Amerigo Vecchiarelli, del presidente della FISC, Mauro Ungaro e del direttore di Padre Pio TV, Stefano Campanella.

Giovanni Tridente, docente di giornalismo presso la Pontificia Università della Santa Croce, ha condotto tutto il pomeriggio e ha commentato alcuni passaggi del messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Simone Incicco, responsabile organizzativo del Meeting, ha ringraziato tutti i relatori, molti dei quali amici dell’evento, il comitato scientifico, il direttore Campanelli di Padre Pio TV e don Giampiero Cinelli impegnato nell’organizzazione. Nella sua introduzione ha ricordato il 23 maggio di ventotto anni fa quando, a Capaci, sono stati uccisi il giudice Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta. Incicco ha poi invitato a un momento di preghiera per ricordare il giudice Falcone, le vittime di mafia, gli operatori di pace e i tanti sofferenti a causa della pandemia.

Bruno Mastroianni, filosofo e giornalista, ha condotto il primo panel dal titolo “Cambiamenti”, con: Bruno Piraccini, amministratore delegato Orogel, Maria Laura Conte, direttrice della comunicazione della Fondazione AVSI e Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale Italiana. Ad introdurre i lavori è stata Vania De Luca, presidente nazionale dell’UCSI che ha detto: «Questa pandemia ci ha cambiati e dobbiamo fare memoria delle sofferenze e delle potenzialità che abbiamo attraversato. L’informazione di qualità, svolta da persone riconoscibili e competenti, potrà aiutarci a ricostruire il tessuto comunitario che uscirà lacerato da questo periodo».

«Un evento inaspettato che ci ha trovati impreparati – ha detto Bruno Piraccini – e abbiamo lavorato continuamente per adempiere al nostro dovere rispettando tutte le regole di sicurezza, dopo un’accurata attività di formazione per i duemila lavoratori dei quattro stabilimenti tra i quali non si sono riscontrati casi di contagio da Covid». Maria Laura Conte ha condiviso il suo percorso: «Dopo la prima fase che si è svolta sull’onda dell’adrenalina tra il lavoro e la famiglia, è subentrata la sensazione della mancanza d’aria, la fatica della chiusura, del non potersi muovere, ma da qui è partito lo scatto verso la riscoperta di un dinamismo diverso, anche con l’aiuto della lettura del romanzo “La Peste” di Camus».

 Vincenzo Corrado ha affermato: «Il vero cambiamento è riuscire a far tesoro dell’essenzialità che stiamo vivendo. Il Papa scrive che la vita di ciascuno è aperta a un possibile cambiamento e ognuno di noi deve indicare la traiettoria. Abbiamo sperimentato la globalizzazione della salute, della malattia, della sofferenza, ci siamo ritrovati tutti uniti sulla stessa barca, ma teniamo aperto questo libro della pandemia, non possiamo lasciare da parte le storie di fragilità e trovare le giuste parole attraverso le quali narrare quello che abbiamo vissuto in modo inaspettato».

Il vescovo Stefano Russo, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ha apprezzato lo svolgimento del Meeting e, introducendo la seconda tavola, ha affermato: «Il tempo della crisi è attraversato da una grazia speciale e il pastore deve prendere consapevolezza di questo e vigilare per comprendere la strada. È importante che il pastore renda viva questa grazia e avendo la consapevolezza che può avvenire in modo speciale anche attraverso la ricerca della collegialità episcopale che dà senso e spessore al ruolo del pastore. In questo tempo ci si può accorgere che la comunione sacramentale è difficile da vivere insieme ma non viene meno la comunione che si vive attraverso la prossimità, attraverso la testimonianza, attraverso il farsi prossimo alle situazioni di indigenza. Ciò diventa testimonianza della Chiesa che siamo e della chiesa che vogliamo essere».

Il secondo momento, nel quale si sono alternati i vescovi di diverse diocesi italiane, è stato infatti dedicato a “L’impegno del pastore in mezzo alle crisi”. Il confronto è stato moderato da Massimiliano Padula, presidente del Copercom e docente alla Pontificia Università Lateranense, che ha chiesto ai relatori cosa ha rappresentato il Coronavirus per la Chiesa. Il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo della Diocesi de L’Aquila dove ha costituito un ufficio per la Pastorale dell’emergenza, ha portato la sua testimonianza su questo terremoto dell’anima: «Credo che tutte le calamità hanno degli aspetti comuni: ogni evento traumatico presenta un versante misurabile e uno nascosto e non immediatamente percepibile ma occorre avere degli strumenti per intercettare questi segnali che partono dalla profondità della persona. Bisogna avere la capacità di ascoltare, che è il primo modo di essere vicini. In un evento traumatico si avverte una frattura tra il prima e il dopo e la situazione di sofferenza getta sul futuro un’ombra condizionante. La Chiesa ha un ruolo importante, dobbiamo dotarci di sismografici sociali e spirituali per misurare le onde sussultorie che sono interiori nella persona, dobbiamo imparare a costruire buone intese, a fare convergenze con le istituzioni e a dare speranza, che è il dono più importante nel tempo dell’emergenza».

 Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede ha affermato: «Il Papa ha accompagnato questa emergenza nella consapevolezza che era un problema di tutto il mondo. Tutti hanno sottolineato la forza di quella serata del 27 marzo in piazza San Pietro, una forza che non era nelle immagini o nella regia: la potenza era nel mondo convenuto a pregare insieme. Anche i non credenti sono stati interpellati da questo momento di preghiera, hanno ricevuto una chiave per capire. Ci ha commosso il modo in cui questo nostro servizio al Papa e alla Chiesa ha raggiunto tanti fedeli in tutto il mondo: in questo momento il Papa è stato vicino».

Il Vescovo Mons. Francesco Beschi della Diocesi di Bergamo, la zona più martoriata d’Italia dal Covid, ha offerto alcune impressioni: «Il dono dello Spirito si è manifestato in maniera evidente. Nella nostra comunità abbiamo sperimentato un po’ di sconcerto e di smarrimento, sono venute meno le relazioni educative quotidiane, la prossimità con le famiglie, i malati e gli anziani. È emersa la consapevolezza di un servizio, di una testimonianza che prendeva progressivamente forme diverse con i media, con il telefono, con una rete di persone che hanno cominciato, con tutte le precauzioni, ad avvicinarsi alle vie, alle case. La Chiesa c’è stata e le persone l’hanno avvertita pur in un contesto di grande sofferenza, di malattia, di dolore immenso per i tanti morti. Abbiamo celebrato in modo molto dimesso i 140 anni del giornale “L’Eco di Bergamo” che ha contribuito alla condivisione di sentimenti. Il Papa ci ha telefonato per esprimere vicinanza per la morte dei 24 sacerdoti e ha chiamato la redazione del giornale perché è rimasto colpito dalle pagine dei necrologi e dei racconti della vita di tante persone morte. Sono convinto che il futuro dipende dalle scelte che stiamo facendo. A partire dalla nostra fede, noi cristiani testimoniamo la convinzione che il futuro di Dio è buono anche nell’oscurità. Avvertiamo il senso di incertezza, ma il mondo può guardare a quello che è avvenuto e leggerlo nel mistero pasquale».

Il Vescovo Mons. Francesco Massara delle Diocesi di Camerino e di Fabriano ha ripercorso le modalità con cui la Chiesa locale si è fatta prossima alle famiglie e ai più giovani: «Il concorso CoronArt per i bambini, ragazzi e giovani ha visto l’adesione di quasi cinquecento partecipanti con video, disegni, poesie. Dopo il terremoto strutturale del 2016 (350 chiese su 500 danneggiate), il terremoto dell’anima che è molto più profondo (aumento dell’uso di antidepressivi e dei suicidi) e il terremoto delle promesse (la ricostruzione non è partita) stiamo affrontando questo nuovo tempo di sofferenza. Ci sarà una crisi economica, ma riusciremo a rialzarci perché i marchigiani sono forti e l’aiuto di Dio ci sosterrà. Questa pandemia ci ha portato a essere più coesi e solidali, a rivedere i nostri modi di vivere come Chiesa e nelle relazioni.»

Mons. Domenico Pompili, vescovo della Diocesi di Rieti, ha ripercorso, come il suo confratello Massara, il periodo del terremoto paragonandolo a questi mesi. «La Chiesa si è ritrovata fuori dalla Chiesa – ha detto mons. Pompili – ma a Rieti eravamo già fuori dalle chiese, costretti a uscire e questo ha creato la possibilità di andare incontro alle persone e di coltivare le relazioni: è questo che dobbiamo recuperare per dare alla Chiesa una prospettiva futura».

La terza parte del Meeting è stata condotta da Alessandra Ferraro, caporedattrice della TgR Valle d’Aosta che ha condotto il confronto tra i direttori di testate. A introdurre i lavori è stato Carlo Verna, Presidente Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, che ha descritto il contesto nel quale gli operatori della comunicazione si sono trovati a lavorare: «Le tecnologie hanno portato a un diverso approccio con le fonti, il lavoro sta cambiando e sono necessarie una maggiore consapevolezza, la massima attenzione e uno sforzo di analisi della verità per informare correttamente il cittadino».

Alessandro Casarin, direttore nazionale dei Tgr Rai ha ripercorso il lavoro delle redazioni regionali così tanto apprezzato dagli italiani: «È la pandemia che detta il sommario del telegiornali – ha spiegato Casarin – le storie degli abitanti prigionieri, poi i racconti dei volontari, le storie drammatiche dei figli che avevano perso uno o entrambi i genitori, e poi le storie degli infermieri, dei sacerdoti morti, le chiese e gli oratori vuoti, tante storie luttuose. Da una settimana questo sommario non ci viene più imposto e riusciamo a dare spazio alla cronaca bianca, ad alcuni fatti che accadono nelle città. Ora dobbiamo pensare al domani, tutti aspettiamo il 3 giugno e speriamo che ci sarà meno virus e più cronaca».

 Vincenzo Morgante, direttore di Tv200, ha ripercorso il lavoro svolto dalla redazione: «Ogni giorno abbiamo raccontato la vita concreta di tanti profili di cittadini e abbiamo scoperto il mondo della prossimità e del bene che forse prima non conoscevamo nella giusta misura. Abbiamo usato un linguaggio semplice che desse sempre un segnale di speranza: raccontare la drammaticità della situazione ma trovare nelle varie storie un elemento di fiducia nella presenza delle Istituzioni e della Chiesa».

 Alberto Ceresoli, direttore de L’Eco di Bergamo, prendendo parte all’incontro ha affermato: «Bergamo ha subito un colpo profondissimo da questa tragedia che il giornale ha raccontato grazie all’aiuto dei lettori che hanno condiviso il loro lutto, la sofferenza e il ricordo dei loro cari. In questo modo il giornale ha attraversato tutto questo periodo e, oltre ai messaggi di papa Francesco e del presidente Mattarella, ha avuto la vicinanza e la stima dei lettori che si sono sentiti accompagnati e sostenuti in questo tempo così buio».

 Lorenzo Rinaldi, direttore del quotidiano “Il Cittadino di Lodi”, ha espresso tanta gratitudine ai redattori che hanno rivalutato il giornalismo di prossimità e ha condiviso il lavoro dalla zona rossa: «La nostra piccola redazione di provincia ha gestito e annunciato il primo caso di Covid del 20 febbraio e da allora non si è mai fermata. Noi eravamo con i nostri cronisti nella zona rossa, isolati ma al centro della notizia, e abbiamo sentito la grande responsabilità di dare le informazioni giuste. Quando ci siamo resi conto che le persone che venivano a mancare erano numerose, abbiamo avuto il momento più duro e abbiamo lanciato l’iniziativa del memoriale per ricordare i defunti che non hanno potuto avere il saluto della comunità. In questo modo ci siamo sentiti ancora di più il cuore della comunità, sia con le pagine del giornale cartaceo che con il sito. Abbiamo pensato anche ai bambini e agli studenti con una rubrica che ha messo in contatto i nonni con i nipoti e un’altra in cui abbiamo chiesto ai ragazzi di raccontarci come stavano vivendo il loro isolamento».

 Agnese Pini, direttrice de La Nazione, si è soffermata sulla correttezza del linguaggio: «Durante questa pandemia i giornalisti hanno prestato maggiore attenzione a come esprimere le notizie al pubblico che era molto sensibile non solo alla notizia ma anche al modo dell’esposizione. I giornali sono diventati una parte istituzionale del Paese, riconosciuta dal presidente Mattarella e dal premier Conte, e hanno cominciato a misurare maggiormente le parole, a lasciare da parte i titoli sensazionali, a sentirsi una responsabilità maggiore per non creare effetti sbagliati nel lettore.»

 Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire, nel suo intervento ha messo in evidenza come le prime responsabilità richieste ai giornalisti siano la prossimità e il confronto con la realtà: «Tutti siamo stati immersi in un flusso continuo di parole, di dati e di opinioni sulla pandemia e sulla carta stampata il lettore ha trovato parole che non sono scivolate via, erano i volti di persone che stavano soffrendo, i nomi dei morti e c’erano le questioni che stavano emergendo, i primi segnali controversi sull’affievolimento della forza virale del Covid. Purtroppo, c’è chi ha seguito l’interesse di fazione e non l’interesse comune, ma sono stati una minoranza rispetto alla gran parte dei giornali che hanno saputo interpretare questa difficile situazione con una informazione quotidiana di qualità».

Il pomeriggio si è concluso con la promessa di ritrovarsi per l’edizione 2021 a Grottammare, per tornare a vivere dal vivo l’ottava edizione del “Meeting nazionale giornalisti cattolici e non”.

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