Innesti felici

di PGC (PIER GIORGIO CAMAIONI) –

San Benedetto. Dopo la casa dei balconi arancione (2012), ecco la villetta gemella che “si ribella”

Via Monte San Michele una volta non era male. Prima periferia di case a mattoni basse e quiete, diverse fra loro ma omogenee, contornate da giardinetti di reti basse e siepi, vasi di fiori, piante grasse, orti di verdure, alberelli da frutto, vialetti di mattoni avanzati messi inclinati di taglio. Vedevi gatti e bambini  sempre in cerca di giochi accanto ad anziani curvi affaccendati, mai tristi. Una via dritta, semplice, moderatamente tradizionale, piena di sentimento. A mezzogiorno e di sera poche auto accostate, per lo più 600 verdine e 850 color topo. Biciclette. Qualche Lambretta. Quando a giugno tornavano gli olandesi (o erano tedeschi?) e le tre ragazzette biondissime (che aspettavamo), con la loro sinuosa Bmw 501-A blu più i bagagli sul tetto, trovavano sempre parcheggio, di fronte alle due villette gemelle.

Due villette uguali pulite e graziose: ornate finestre simmetricamente spaziate con persiane, tetto basso, portoncino d’ingresso in legno al centro della facciata, con due rampe di scale esterne. Negli anni si mantenevano fresche all’acqua e sapone, senza trucchi per apparire eterne giovincelle, senza spanciarsi in “balconi abitabili” e orride verande d’alluminio come fan tutti. Invecchiavano insieme, d’amore e d’accordo.

Fino a ieri. Perché una di loro, penso quella nata 5 minuti prima, decide di colpo di cominciare un’altra vita. E arrivano gru e impalcature e transenne di cantiere, con i terribili cartelli “Ristrutturazione”… che a San Benedetto vuol dire radere al suolo!  Per fortuna non è andata così: la nostra gemella, un po’ ribelle ma saggia, si è affidata allo studio che realizzò la casa dei balconi arancione* , specialista in “innesti felici”.

E “innesto felice” è stato anche qui: su una base con mattoni a vista rimasta intatta per un piano e mezzo fino al portoncino d’ingresso – con tutte le affettuose caratteristiche di tranquilla villetta familiare a pianta centrale – si è appoggiata una bianchissima grande scatola con volta a botte.

Sembra un piccolo capannone, un’officina volante, una mini-fabbrica piovuta dal cielo. Tre alte e profonde feritoie a nord come per respirare, i fianchi lisci e continui percorsi da pannellature tecniche, e a sud la grande terrazza a sbalzo senza soluzione di continuità con l’interno: aria, sole e luce in quantità industriali. Due diversissimi volumi sovrapposti e tenuti distinti, anzi il soprastante è sporgente (cappotto termico), come se si potesse alzare o abbassare quando a uno gli va…

Un sogno in una scatola, una scultura da abitare, anzi una nuova “macchina per abitare” (Bruno Munari). Immagino un interno di volumi aperti con soppalchi simil-loft, altro che l’ennesimo appartamento piccolo-borghese con inutili labirinti di rappresentanza. Sbirciando da fuori si notano travi curve lignee a vista che dilatano ancor di più lo spazio, ma dentro immagino pavimenti in resina che si confrontano con vissute mattonelle di graniglia recuperate, composizioni dinamiche spaesanti ma espressive, librerie in quota, manifesti d’autore, fari da cinema, disimpegni risolti con semplicità, sorridente design, poesia.

A noi “con gli occhi impastati di cemento e traffico” (E. Jannacci) quest’opera parrà un azzardo estetico, più della casa dei balconi arancione. Troppo in contrasto col circondario e con la stessa villetta gemella, ora rimasta un po’ in disparte. Invece di questi lampi creativi – di questi “innesti felici” – ha urgente bisogno il buio architettonico-edilizio che con la sua desolazione sontuosa soffoca le nostre vite: ricostruire sul costruito con sensibilità e fantasia, andando contro corrente con garbo, con leggerezza, con raziocinio. 

*https://faxivostri.wordpress.com//?s=La+casa+dei+balconi+arancione&search=Vai

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