Black Friday, il venerdì nero dai mille colori. Ecco le origini

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Il “venerdì nero” è passato da poco, pur con qualche eccezione, soprattutto nel commercio online. Tenendo da parte, per il momento, considerazioni economiche, sociologiche, etiche, ambientaliste, e quant’altro, ci piace soffermarci sull’aspetto di costume, sulle origini, più o meno fantasiose. Personalmente ho sentito parlare del Black Friday solo lo scorso anno, ma il fenomeno ha una sua dignità storica, guardando oltreoceano, in quella vasta terra, ancora vissuta come terra di frontiera e tendenze: gli Stati Uniti d’America. Andiamo a casa di una famiglia tipica, ad esempio gli Johnson, da Adeline e Bryson, con i loro figlioli Olivia e Liam. Avete presente quelle belle casette di provincia, quelle in legno, color pastello, a due piani, giorno e notte, con una bella scala nel salone? Bene! Aggiungiamo il piccolo giardino ben curato, il viale alberato e la propria auto, rigorosamente station wagon, ben parcheggiata davanti al vialetto che sale a casa.

Siamo negli anni Cinquanta ed è giovedì, l’ultimo del mese di novembre. È il Giorno del Ringraziamento, giorno festivo che tutti gli americani celebrano, rendendo ricca la tavola. Adeline, con l’aiuto del marito, ha preparato il tacchino ripieno con le castagne, salsa di mirtilli e patate dolci al forno. Fuori, il giorno è bello, le temperature sono ancora miti. L’indomani, però, è lavorativo. Bryson si sveglia con poca, anzi nessuna voglia di alzarsi. C’è un bel sole ed un pensiero corre veloce: ha davanti a sé due giorni di riposo e quello festivo è appena passato. E se il venerdì lo considerasse di riposo, se non andasse a lavorare? Sarebbe un bel ponte di 4 giorni. Non solo, si avvicina il periodo natalizio. Occorre fare acquisti. Sarebbe buona cosa anticiparsi sugli altri. Si, è una buona idea, pensata da Bryson e da tanti, tantissimi altri. Un mare di gente, con le loro auto, si riversa in centro, soprattutto nelle città più grandi, riempendo negozi e centri commerciali. E inizia la leggenda del Black Friday.

Ma cosa significa, perché si chiama così, in modo bizzarro e quasi cupo? Ci sono più ipotesi e tutte, in fondo, sono realistiche e concorrono al fenomeno. Era un venerdì nero, negativo per gli imprenditori, proprio per il fatto che i dipendenti si davano malati per poter fare il lungo ponte. Era talmente praticata questa assenza non del tutto giustificata che successivamente il quarto venerdì di novembre verrà reso istituzionalmente non lavorativo e retribuito. Non solo, quel venerdì, oltre che per gli imprenditori, era nero anche per i poliziotti cittadini che si trovavano a fronteggiare e gestire un notevole flusso di auto, un traffico imprevisto che creava ingorghi e difficoltà varie. Si, per loro era davvero un venerdì spiacevole, con turni allungati e molta tensione. Il New York Times, nel 1975, definiva il Black Friday come “il giorno più movimentato dell’anno”, soprattutto a Filadelfia, dove il fenomeno ebbe un impulso particolare, per poi estendersi ovunque negli USA negli anni Ottanta.

Nero per gli imprenditori non commerciali, nero per i poliziotti, ma venerdì bellissimo per gli esercenti delle attività commerciali. Al punto che divenne consuetudine applicare degli sconti per dare, a quel venerdì, una rilevanza massima. Un giorno a sé, il Black Friday per l’appunto. Il nome, nonostante la sua cupezza per quel “black”, ha funzionato. È diventato simbolo, identificativo di una tendenza che gradualmente si è estesa in altri Paesi, sorvolando gli oceani. Come tutti i fenomeni, ha i suoi eccessi, le sue contraddizioni e le false leggende. Nei giorni scorsi, sui social, passavano post in cui si faceva risalire il nome all’epoca dello schiavismo quando, in periodi di magra nella vendita degli schiavi, venivano organizzate “svendite” da parte dei negrieri proprio dopo il Ringraziamento. Questo accadeva realmente, ma, sembra, nulla ha a che fare con l’origine della definizione Black Friday, siglata oltre un secolo dopo la fine dell’assurdità dello schiavismo.

Sul Black Friday, per come si è globalmente sviluppato, si possono fare talk show e approfondimenti giornalistici infiniti perché, inevitabilmente, va a toccare punti sensibili come il consumismo e tutto quello che ciò si porta appresso: un certo tipo di sviluppo economico e sociale, certi squilibri di politica estera, l’etica e il senso delle cose. I valori, la cultura, gli atteggiamenti. Sì, l’argomento si presta a speculazioni più o meno giuste, più o meno sensate. Però, lasciamo a questo articolo un po’ di leggerezza di cui si avverte il bisogno. Lasciamo scivolare anche il gusto dell’osservazione di “ciò che è” senza diventare, necessariamente, sociologi e filosofi. Magari lo faremo in seguito. Oggi, abbiamo preferito dare una pennellata antropologica e stare con Adeline e Bryson Johnson.

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