Rutger Hauer, non era tempo di morire per te

di ROSITA SPINOZZI –

É impossibile dire addio a Rutger Hauer: la ragione ci dice che il celebre attore olandese ha lasciato questo mondo il 19 luglio all’età di 75 anni, ma il cuore ci sussurra che Roy Batty (il replicante dagli occhi di ghiaccio di “Blade Runner”) ed Etienne Navarre (l’ex capitano della guardia nella favola medievale “Ladyhawke”) – soltanto per citare i suoi due ruoli più iconici – resteranno vivi per sempre. No, non era tempo di morire per te, caro Rutger. Fa male dirti addio. Perché dire addio a questo straordinario attore significa perdere una parte importante della mia adolescenza alla quale non ho alcuna intenzione di voltare le spalle. “Blade Runner” di Ridley Scott è in assoluto uno dei miei film preferiti, così come ho adorato “Lady Hawke” di Richard Donner: due capolavori tanto diversi tra loro che avevano come unico denominatore il talento infinito, la fiera bellezza e lo sguardo “assassino” di Rutger Hauer al quale è più che legittimo soccombere.

Ma quest’uomo è stato molto di più: forse non molti ricordano “L’amore e il sangue” (“Fleesh and Blood”, 1985), carnale e provocatoria allegoria dell’era moderna in chiave fantamedievale di Paul Verhoeven, ma tutti ricorderanno “La leggenda del santo bevitore” di Ermanno Olmi in cui l’attore vestiva i panni di un ubriacone che gli sono valsi il Leone d’Oro a Venezia, oppure l’autostoppista assassino in “The Hitcher” che ha seminato il terrore nel viaggio della giovanissima star dell’epoca Thomas Howell. Tanti i cameo in film più o meno fortunati, ma Rutger era Rutger e ogni pellicola acquisiva valore nell’attimo stesso in cui faceva la sua “comparsa”.

Una lunga carriera con oltre 170 titoli, ma è indubbiamente il monologo di “Blade Runner” («Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire») ad aver trasformato Rutger Hauer in leggenda. Indimenticabile la pioggia incessante sui suoi capelli biondo platino, il rigagnolo di sangue sul viso, la colomba bianca in mano e quell’atmosfera quasi onirica sospesa tra la vita e la morte, sotto lo sguardo smarrito di un grande Harrison Ford. Una scena che vale un film intero, per quale il regista Ridley Scott lasciò Rutger Hauer ed Harrison Ford liberi nell’interpretazione. Che fu magnifica. Da sottolineare che il film, girato nel 1982, è ambientato nel 2019, in altre parole l’attore olandese è morto proprio nell’anno in cui il suo personaggio Roy Batty moriva nella finzione cinematografica. Semplici, iconiche, fantastiche coincidenze. Perché Rutger Hauer è vivo nella memoria di tutti quanti noi.

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