Giuseppe Sacconi, l’architetto che non t’aspetti

di GIAMPIETRO DE ANGELIS –

Quando andiamo a Roma, un passaggio per il Vittoriano è praticamente obbligato. Vuoi che ti va di rivederlo, vuoi che sei in centro e a Piazza Venezia ci andresti comunque. Tant’è che da lì, bene o male, ci passi. Ed anche distrattamente, uno sguardo a quel superbo colonnato non puoi negarlo. Il grande complesso monumentale, dedicato a Vittorio Emanuele II e denominato Vittoriano (oggi meglio conosciuto come Altare della Patria), costruito sul colle del Campidoglio, poté contare nella progettazione su un pool di professionisti di livello, tra i quali, in primis, l’architetto marchigiano Giuseppe Sacconi, nato a Montalto, nel nostro bel Piceno, il 5 luglio del 1854, da padre che, oltre ad essere conte, era stato un patriota del Risorgimento. Si deve la sua formazione professionale all’Istituto di Arti e Mestieri di Fermo che, in quel periodo, era diretto magistralmente da un ingegnere francese che faceva affidamento su una didattica moderna ed innovativa per l’epoca, pur nello studio di elementi classici.

A scuola, il giovane Giuseppe, impara il disegno e alcune discipline tecniche, come l’incisione e le costruzioni meccaniche. Fa praticantato presso lo studio di un amico del padre, l’architetto e archeologo Giovan Battista Carducci. È la scelta giusta. Il professionista vede in lui le capacità e il talento e consiglia ai genitori di far frequentare al ragazzo l’Accademia delle Belle Arti di Roma. E così, Giuseppe, ormai ventenne, si sposta nella città nel 1874, grazie anche ad una borsa da convittore elargita dal Pio Sodalizio dei Piceni, istituzione nata per aiutare i marchigiani più dotati a proseguire gli studi nella capitale.

Nell’Istituto delle Belle Arti, dopo aver seguito gli indirizzi generali di pittura, architettura e scultura, si specializza in architettura, frequentando un corso speciale. Giuseppe non è un tipo loquace, è di poche parole se si fa semplicemente “salotto”, ma se l’argomento cambia, se si passa a parlare d’arte, si trasforma. Diventa eloquente, fantasioso, di grande memoria e competenza. Non smetterebbe più di parlare. Raccontano di lui che anche in bar, tra tazzine e giornali, lui prendeva un foglio di carta e una matita e senza incertezza, in una manciata di minuti, disegnava motivi architettonici elaborati, pur senza vederli da nessuna parte se non nella propria mente, evidentemente molto fervida e di tipo fotografico.

Ormai romano d’adozione inizia a lavorare in uno studio professionale, sviluppando disegni ed esercitandosi in restauri. E intanto osserva, cammina per le strade, rivisita i monumenti della capitale, ne riesamina i dettagli. Vuole conoscere da vicino come si lavora il marmo, vuole capire le tecniche costruttive. Insomma, non solo idee e disegno, ma conoscere da dentro un’opera d’arte, carpirne ogni segreto.  Si sposa nel 1880 e inizia a pensare in grande. Si convince che non può rinunciare al sogno di essere lui, il marchigiano di Montalto, il disegnatore del monumento-simbolo: il Vittoriano.

Non vince subito. Su 293 partecipanti, si aggiudica l’assegnazione un giovane francese. Ma il concorso viene annullato. Due anni dopo viene indetto nuovamente. Ed è la volta del nostro Giuseppe: la vittoria è sua. L’impegno è enorme. Il Vittoriano è una vera e propria scenografia monumentale che fa da palcoscenico alla grande statua equestre. E i lavori si riveleranno lunghi e complessi. Inizieranno nel 1885 e vedranno l’inaugurazione nel 1911 quando l’architetto ormai non è più in vita. La notorietà arriva veloce e il Sacconi viene richiesto in tutt’Italia per lavori importanti, compreso quello riguardante il completamento della Santa Casa, la Basilica di Loreto e il restauro della Cattedrale di Sant’ Emidio in Ascoli Piceno. Anche il Palazzo Ducale di Urbino vedrà la sua mano in alcuni interventi di restauro.

Con la notorietà ci sono i corteggiamenti politici e si lascia sedurre. Per sei legislature sarà eletto come rappresentante del collegio di San Benedetto del Tronto. La salute non gli è stata alleata. Muore nel 1905 a soli 51 anni. Verrà ricordato come l’architetto che, partendo dal classico, conoscendone ogni minimo dettaglio, non si è fermato alla perfezione stilistica ma è “follemente” spinto alla ricerca di nuove impronte stilistiche. Infatti, nel disegnare il Vittoriano, lo scopo ideologico era quello di fare un salto culturale, muovendosi nella ricerca di un nuovo stile nazionale, riconoscibile e caratterizzante.

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