L’immigrazione in un’Europa senza giustizia

di ALCEO LUCIDI –

RUBRICA “DRITTO E ROVESCIO”

L’ultimo drammatico naufragio di un gommone con 120 persone – di cui solo due superstiti – nel Mediterraneo ci impone una riflessione seria sul ruolo mancato dell’Europa degli Stati nella vicenda degli esodi epocali a cui assistiamo da diversi anni. Ce lo impone un sussulto d’umanità, un desiderio di maggiore equità e solidarietà nel rispetto dei più elementari diritti della dignità della persona, a prescindere dall’etnia, la religione, le diverse provenienze politiche e geografiche, che dovrebbero essere un universale categorico, una modalità di comportamento etico e razionale incontrovertibili. Senza rispetto del bene comune non vi può essere giustizia e verità, diceva Emmanuel Lévinas, filosofo francese di origini lituane il quale incalzava nell’Etica come filosofia prima: «La morte dell’altro uomo mi chiama e mi mette in questione». Come può allora, dati questi presupposti, l’Unione Europa, costruita sulla concordia dei popoli dopo il disastro delle guerre e dei totalitarismi, sulle grandi svolte della partecipazione democratica dei suoi cittadini alle grandi politiche comunitarie di apertura delle frontiere, di libero-scambio commerciale, di facilità di movimento di persone e servizi, fondata sul pluralismo politico, linguistico, culturale, religioso, non prendere in carico, una volta e per tutte, non solo le conseguenze immediate dei flussi migratori, dalla Libia e dall’Africa – con il suo seguito di donne, bambini, uomini disperati in fuga da guerre, persecuzioni, fame, miseria – ma gli ordinamenti internazionali che obbligano ogni Stato ad assicurare ad ogni naufrago accoglienza e cure (proprio le “leggi del mare”, da leggere con più attenzione, che richiamava non molto tempo fa il Ministro Toninelli).

Come non vedere l’inutilità dei fondi buttati nel formare delle forze di polizia libiche (la famosa e non troppo gloriosa guardia costiera), negli spazi R&S (Rescue and Security) ad essa assegnati, se poi, nel caso di quella nazione stravolta dagli odi tribali e lasciata a se stessa, dove l’arbitrio è elevato a violenza, non si riesce neanche a lanciare un SOS di allarme o ad attivare per tempo le motovedette. Oppure lasciare che i focolai di conflitto sparsi nel mondo finiscano di incendiarlo senza che si oppongano delle politiche di cooperazione di sviluppo sane e ragionate che vedano l’Europa e gli Stati Uniti, per una volta almeno, uniti nell’aiuto ai popoli in difficoltà del Medio Oriente e dell’Africa, portando lì possibilità di emancipazione economica, di riscatto sociale, di ripartizione di ricchezze già presenti.

La logica dei muri, delle leggi sull’autodifesa, dei ghetti disumani – come quello inaccettabile dell’isola di Samos in Grecia, la terra di Pitagora ed Euripide, culla del sogno occidentale di un umanesimo quanto più possibile democratico – dove, in un campo profughi spot fatto di accampamenti di fortuna tra il freddo ed il fango, vivono oltre 4000 persone delle circa 500 ospitabili, in condizioni igieniche, sanitarie, indicibili (con padri o madri che guardano impotenti i propri figli ammalarsi, con difficoltà di accesso all’acqua potabile, alle cure di base, spesso respinti dalle persone del posto che non li vogliono, umiliati dallo stesso governo greco che non riesce neanche a provvedere alle tende), ha prodotto solo una crisi umanitaria sull’altra e non risolverà di certo la questione delle masse di diseredati in cerca di speranza.

Dopo che per anni ci siamo riempiti la bocca di termini come “comunitarismo” e “valori”, ricorda giustamente il filosofo Massimo Cacciari, ed in cui il concetto di giustizia cozza con quello di uguaglianza (l’ultimo rapporto OCSE riporta che, non solo le sperequazioni sono aumentate, ma che – pensate! – circa l’1% della popolazione mondiale, per la maggior parte uomini, detiene il 78% di quella complessiva) ora varrà bene rispondere alle urgenze irrefrenabili di un ordine internazionale, fondato sullo sfruttamento del lavoro precario e sullo squilibrio nella distribuzione delle risorse economiche e naturali, portato altrimenti ad un rapido tramonto.


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