La Rivoluzione mancata. Da ScuolaZoo: i nativi digitali preferiscono i libri cartacei

di GIUDITTA CASTELLI –

Chi l’avrebbe mai detto? Gli studenti d’Italia preferiscono i libri cartacei. É quanto risultato da un sondaggio su oltre 4.000 studenti d’Italia nati fra il 2000 e il 2005, realizzato da ScuolaZoo, il media brand degli studenti italiani con tre milioni di utenti al mese. Una Community che unisce ragazzi da nord e sud d’Italia: un modello di integrazione, libertà, condivisione creato dai giovani per i giovani al quale dovrebbero attingere insegnamenti gli adulti. Ogni indagine che si rispetti deve avere un somministratore credibile e gli Operatori di ScuolaZoo lo sono.

Nata nel 2007 da un’idea di Paolo De Nadai e Francesco Nazari Fusetti per contrastare gli episodi di mala istruzione, ScuolaZoo è oggi una testata giornalistica che informa gli studenti con il loro linguaggio, è anche il terzo diario scolastico più venduto d’Italia e il primo network nazionale di Rappresentanti d’Istituto che collabora per una scuola migliore con e per gli studenti. ScuolaZoo è una società di OneDay Group.

Tornando ai risultati dell’intervista, l’82% degli studenti ha dichiarato di preferire i libri cartacei agli Ebook. Molte motivazioni addotte hanno anche del romantico: i ragazzi amano il profumo dei libri nuovi a inizio anno, poi vogliono vederli consumarsi di giorno in giorno e non vogliono rinunciare al soffice fruscio della carta quando gira. Ma ci sono anche altre motivazioni: gli studenti dichiarano di concentrarsi meglio sulla carta, possono sottolineare con colori diversi, inserire frecce, appunti a margine e attaccare post-it, inserire segnalibri e fare orecchiette sulle pagine. Sensazioni ed emozioni che anche i padri hanno condiviso. Inoltre, lo schermo a luce blu appesantisce gli occhi.

I risultati dell’indagine di ScuolaZoo si prestano a ulteriori approfondimenti e a riflessioni sociologiche sullo stato della Scuola Reale, dove quella che doveva essere la rivoluzione digitale nell’era degli smartphone è in una situazione di stallo. A cinque anni dalla circolare Carrozza  (Governo Letta 2013-2014) che sanciva la liberalizzazione dei testi scolastici, il libro digitale resta ancora una rarità. Nel 2016, due anni dopo, solo l’1% dei libri usati a scuola era esclusivamente digitale mentre la maggior parte dei volumi usati dagli studenti era in formato misto. Inoltre solo due ragazzi su dieci accedevano ai contenuti multimediali online offerti dagli editori. Attualmente, secondo l’indagine ScuolaZoo il 75% delle scuole italiane adottano ancora esclusivamente libri di testo cartacei. Il 20% delle scuole utilizza entrambi i tipi di testo e solo il restante 5% ha adottato solo testi digitali.

Il quesito che si pone agli operatori è se la scelta dei ragazzi non sia in rapporto alla possibilità reale di avere a scuola gli strumenti digitali in quantità  sufficiente. In tal caso, sia studenti che docenti avrebbero una formazione solo sommaria sull’uso del digitale. La risposta non potrà essere che affermativa.

La diffusione e l’uso delle LIM (Lavagne interattive multimediali) che dovevano rappresentare il tassello più importante della rivoluzione digitale, sono arenati dinanzi all’insufficienza di fondi per il loro acquisto e il loro uso limitato a utilissimi grandi schermi collegati al PC. Solo il 6,1 per cento degli Istituti ha un proiettore interattivo, molto spesso “in standby” perché l’istituto non ha i fondi per la manutenzione.  In alcuni istituti pur di salvaguardare la parità del diritto d’istruzione di tutti gli alunni, sono stati acquistati al posto delle LIM solo grandi video collegati ai computer.

Tornando agli Ebook scolastici, seppur è vero che i testi digitali costano meno, alla cifra netta occorre aggiungere le spese sostenute dai singoli istituti per pagare la connessione, o i tablet adottati nei piani formativi autonomi; e i costi delle famiglie per app, materiali, libri digitali. Inoltre le edizioni digitali sono legate all’ utente che ha scaricato l’ebook, quindi non possono essere messi sui mercati dell’usato.

Dalla parte delle politiche scolastiche non c’è stato ministro negli ultimi cinque anni che non abbia indirizzato risorse al “digitale”: due miliardi di euro ad oggi a partire dal 2008 quando Mariastella Gelmini investì 93 milioni di euro nelle lavagne interattive (quasi scomparse).  IL MIUR stanziò poi 103 milioni di euro per portare la connessione a banda larga nelle scuole con l’aggiunta di 10 milioni di euro per pagare le bollette. Tutti i finanziamenti di Stato ed europei, prima destinati soprattutto al Sud, e furono poi dal governo Renzi fatti convergere in un unico piano da un miliardo di euro nella riforma della “Buona Scuola”.

Ma quando si parla di Scuola forse gli strumenti valgono molto meno dei processi mentali legati all’apprendimento, dei piani didattici e delle competenze investite da parte dei docenti e quelle che dovrebbero acquisire gli studenti.

Sì, si sta parlando di come il digitale finora abbia influito sulla formazione. Uno  studio dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, convenzione firmata a Parigi il 14 dicembre 1960), nel 2015 ha indicato risultati altalenanti, quando non negativi, sull’apprendimento, dei sistemi scolastici che avevano abbracciato un uso massiccio del digitale. Scenario confermato per l’Italia  dai dati raccolti da  Marco Gui dell’università Bicocca e pubblicati per l’Italia sulla rivista Policy&Internet dell’Oxford Internet Institute.

Il problema della scelta “Ebook o libri cartacei a scuola” sarebbe allora un falso problema: la vera rivoluzione – che forse rivoluzione non è – consiste nella ricerca e nell’innovazione delle sedi, ovvero quella buona didattica chiamata la “didattica delle competenze, della ricerca, dell’umanità”, per formare uomini e cittadini in una società dinamica. Una società ripensata anche attraverso l’uso di metodologie e strumenti che guardano al futuro, come fa il digitale,  ma non in maniera esclusiva.

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