La Galleria Marconi era un po’ il mio “Paese dei Balocchi”

di ROSITA SPINOZZI –

Gli addi non mi sono mai piaciuti, neanche quando erano necessari. Figuriamoci quando sono dettati dalle cosiddette “causa forza maggiore”. Ed è soltanto questo il motivo per cui non sono andata all’ultima mostra organizzata dalla Galleria Marconi, nel mese di luglio. Ultima perché poi, dopo trentatrè onorati anni di attività, la Galleria ha chiuso i battenti. Ma non la mia eterna amicizia con Franco Marconi, o meglio “zio Franco”, come siamo soliti chiamarlo noi che gli vogliamo bene. Quel “Lazzarona, che combini?”, detto nel più affettuoso dei modi, non mi mancherà perché avrò modo di vedere e interagire ancora con Franco. Ma la Galleria, intesa come spazio fisico, mi mancherà. Eccome. E non soltanto a me. Perchè è stata uno dei più originali punti di riferimento per l’arte e la cultura vissute nell’accezione più ampia del termine. In quello spazio luminoso ho conosciuto persone indimenticabili e molto importanti per la mia crescita umana e professionale. Ho incontrato l’amicizia, l’eclettismo, la creatività, l’estro, ho ammirato opere di diversi artisti che mai avrei potuto conoscere altrove. Ho interagito con “strani personaggi” che hanno dato colore al mio lavoro e alle mie giornate. Ho ancora nelle orecchie la risata allegra e cristallina di Franco, un uomo che nonostante le avversità, non perde mai il buonumore, la sua indole pacifica, il suo vedere il mondo sempre attraverso lenti colorate pur mantenendo lo sguardo attento sulla realtà. Franco per me è un po’ come l’arcobaleno, un balsamo che spazza via i miei “attacchi di pessimismo cosmico”, un uomo coraggioso che ha investito tutto quello che aveva in una Galleria che è riuscita ad interagire con l’anima e il vissuto di molte persone, rendendo lustro alla città di Cupra Marittima.

La Galleria Marconi era un po’ il mio “Paese dei Balocchi”, con la sua oggettistica curiosa e variopinta, con le sue luci, le installazioni che a volte si alternavano in loco, la sua atmosfera unica. Trascorrere del tempo lì è stato un vero piacere, a prescindere dalla mia attività giornalistica. Infatti dallo “zio Franco” si andava anche solo per scambiare un saluto. Si respirava aria di famiglia, persino i suoi fantasiosi buffet erano frutto di un atto di generosità che lui compiva nei confronti di quanti partecipavano all’inaugurazione delle mostre. Non erano “freddi”, ma pieni di calore – e calorie! – anch’essi. Perché la Galleria Marconi non c’è più? Semplicemente perché era sempre più difficile andare avanti. Le cose belle prima o poi finiscono, così si dice. Questa è durata oltre trent’anni e, da un punto di vista personale, ha abbracciato il mio passaggio dall’età giovanile a quella adulta.

Riflettendo, penso che negli ultimi anni abbiamo perso molti punti saldi. E questo accade un po’ dovunque. Manifestazioni pluridecennali a cui  vengono tarpate le ali, altre che emigrano altrove, luoghi storici che mettono la parola fine al loro percorso. Persino i miei “negozi rifugio” non ci sono più. È lo specchio triste dei tempi, qualcosa decisamente non sta andando per il verso giusto. Giorni fa, di passaggio a Cupra, ho visto da lontano i locali vuoti della Galleria Marconi. Privi di insegna. Un tuffo al cuore. La fine di un’epoca? Non direi proprio. Perché tutti noi che abbiamo respirato quell’aria continueremo ad aprire finestre sull’infinito, senza tracciare alcun confine. La Galleria Marconi non c’è più. Ma il fulgore delle sue idee resta. Così come resta straordinario Franco Marconi che, spesso e volentieri, ha aperto le porte anche a manifestazioni culturali di pregio che avevano difficoltà logistiche. Credo sia giunto il momento di preservare determinati spazi creativi e fare tutto il possibile per far sì che luoghi come la Galleria Marconi possano continuare il loro cammino. Perderli è una grave perdita. Per la città, per tutti.

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